Prima di vedere cosa sia il brand storytelling, è importante capire come lo storytelling (più in generale) sia una pratica quotidiana per ognuno di noi. Raccontare storie è sempre stato importante, lo facciamo tutti i giorni a livello personale. Lo storytelling ci aiuta a restare connessi con le altre persone, a costruire un legame con loro. Quando parliamo di brand storytelling non è diverso, sia che parliamo di aziende B2c che B2B: a partire dalla brand identity, che dà una forma al brand storytelling, per arrivare al contenuto vero e proprio delle storie.
La narrazione o storytelling è un'arte millenaria che mette in contatto generazioni e culture attraverso le storie. Le storie ci aiutano a comprendere argomenti complessi in modo semplice e ci permettono di relazionarci gli uni con gli altri facendo leva sul nostro lato emotivo. Non deve sembrarci strano quindi che tanti brand usino la tecnica dello storytelling per entrare in contatto con il proprio pubblico.
Il brand storytelling in marketing e comunicazione è diventato sempre più popolare per creare legami più forti e coinvolgere il pubblico. Una narrazione ben strutturata ha almeno 3 effetti:
- memorabilità: raggiunge più facilmente le persone e rimane impressa nella loro memoria anche dopo che il logo o il prodotto sono scomparsi dalla loro vista
- fiducia: ae fatto correttamente, inoltre, lo storytelling può aiutare a guadagnare fiducia perché fa leva proprio sul lato emotivo di ognuno di noi
- differenziazione: il modo in cui ci raccontiamo ci aiuta a distinguerci dagli altri.
Ma qual è la differenza tra storytelling e brand storytelling? Mentre lo storytelling si riferisce alla creazione di narrazioni coinvolgenti in generale, il brand storytelling si concentra specificamente sul racconto delle storie legate ad un marchio. Ha un obiettivo più commerciale. Il brand storytelling coinvolge i clienti come protagonisti della narrazione, facendo leva sulle emozioni e creando una connessione emotiva con il pubblico: si tratta di comunicare i valori, le esperienze e i messaggi del marchio attraverso una narrazione coinvolgente.
Cos'è il brand storytelling? Perché lo storytelling è così efficace? Perché è importante per un'azienda fare brand storytelling?
Indice dell'articolo:
- Brand storytelling: definizione
- Perché il brand storytelling è importante
- Scrivere contenuti rilevanti per i clienti
- Chiudere più trattative con lo storytelling
- I 4 motivi per cui la tua azienda dovrebbe fare storytelling
- Come fare storytelling per un brand?
- Gli elementi di una strategia di brand storytelling
- Cosa sono gli obiettivi smart + video
- Definire gli obiettivi del brand storytelling
- Storytelling aziendale e customer experience
- Storytelling aziendale vs. branding
- Storytelling aziendale e brand identity
- Brand storytelling, un esempio a cui ispirarsi
Brand storytelling: definizione
Definiamo il brand storytelling o storytelling aziendale come una attività strategica di content marketing, quindi di creazione e gestione del contenuto, che ha l'obiettivo di costruire una relazione con prospect e clienti, facendo leva su valori condivisi ed emozioni.
Il brand storytelling è quindi la capacità che un brand ha di raccontare storie che abbiano lo scopo di ottenere l'attenzione dei propri clienti e li aiuti a costruire una relazione con loro.
Oggi ovviamente il concetto di "attenzione" non può essere ignorato nella costruzione della propria attività di content marketing: abbiamo ogni giorno accesso a migliaia di informazioni attraverso centinaia di touchpoint. Quando riusciamo ad avere qualche secondo di attenzione, dobbiamo giocarcelo bene.
La capacità di fare brand storytelling è strettamente lagata ai valori che il brand stesso rappresenta: al grido di "non puoi essere tutto per tutti", l'obiettivo è quello di attirare clienti che condividano quegli stessi valori. Non vale la pena di snaturare l'essenza del proprio brand per prendere una manciata di clienti in più (e probabilmente perdere quelli che, in quei valori, ci credono veramente).
Non finiremo mai di dire che il mondo della comunicazione è cambiato drasticamente negli ultimi 20 anni: le grandi pubblicità a cui diversi marchi ci avevano abituato tra gli anni '80 e '90 non sono più il pivot della comunicazione aziendale ma sono stati sostuituiti da altre modalità attraverso cui i brand si relazionano ai propri clienti.
L'avvento del mondo digitale e dei social media ha giocato un ruolo fondamentale (nel bene e nel male), abbattendo le barriere all'ingresso della comunicazione (fino a 20 anni fa fare comunicazione significava fare un piano media, con i relativi costi), democratizzando i processi e imponendo nuove modalità di relazione tra brand e clienti. Non più, quindi, solo una questione unidirezionale (come con uno spot TV) e una modalità che il brand faceva cadere dall'alto, ma una relazione più diretta e personale, bi-direzionale e democratica.
Sicuramente lo Storytelling aziendale ha a che far con tutto quello che abbiamo detto qui sopra:
- Il modo di comunicare cambia perché i tuoi clienti sono diventati empowered buyers
- Le storie che il tuo brand racconta devono essere fedeli ai suoi valori (vere, sinceri e trasparenti)
- Il tuo brand è quello che i tuoi clienti dicono che sia
- Il tuo brand è la somma delle interazioni di ogni cliente su ogni touchpoint
- Lo storytelling è il modo per attrarre community che condividono i valori della tua azienda
- Branding e brand storytelling sono una questione di fiducia
All'elenco qui sopra aggiungiamo che
Tutti i mercati sono conversazioni.
Ricordo che la prima volta che l'ho letto non sono rimasto molto colpito. Era forse la fine del secolo scorso, stavo finendo l'università ed eravamo lontani dai social media o da Amazon o altro. Ripensandoci dopo 20 anni, gli autori del Cluetrain Manifesto ci avevano preso in pieno, precorrendo i tempi di qualche anno. Il punto è proprio questo: tutti i mercati sono conversazioni. Come possiamo gestire queste conversazioni? Attraverso lo storytelling, che possiamo ora definire:
Storytelling aziendale quindi significa dare una forma alla propria identità aziendale attraverso la costruzione di una strategia di comunicazioneche abbia l'obiettivo di generare una risposta emotiva nelle comunity dei nostri clienti e costruire dei rapporti di valore.
La strategia di comunicazione, di conseguenza, sarà centrata sulla creazione di messaggi costruiti attraverso tecniche narrative dedicate, all'interno di un ecosistema di touchpoint adeguato alla nostra audience.
Perché il brand storytelling è importante
Perché le aziende hanno bisogno di raccontare storie? Quali sono i motivi per cui il brand storytelling è importante? Esistono altri motivi, al di là di quello che ci siamo appena detti su quanto i media stessi siano cambiati e impongano diverse modalità di comunicazione?
Una buona parte dell'importanza delle storie nel content marketing è vincolata alla capacità di attenzione dell'essere umano. Sappiamo che impenditori e venditori di successo raccontano storie ogni giorno. Esiste un legame tra il loro successo e le storie che raccontano? Probabilmente sì.
Esiste un fenomeno, conosciuto come curva dell'oblio, che evidenzia quanto le prestazioni mnemoniche in condizioni normali di noi mortali siano relativamente scarse. E che vadano peggiorando nel tempo: già dopo 20 minuti si stima che il ricordo di quanto appreso arrivi intorno al 50%. Figuriamoci cosa succede dopo un mese.
Il meccanismo che sta sotto alla memoria ha, come la maggior parte dei meccanismi del cervello, una funzione adattiva: noi sappiamo stare al mondo perché ricordiamo come ci dobbiamo comportare nelle diverse occasioni. La memoria ha quindi una funzione predittiva su molti comportamenti.
Pensiamo a quando stiamo guidando. Spesso siamo assorti nei nostri pensieri finché non succede qualcosa che non ci aspettiamo (un cane in mezzo alla strada), momento in cui riprendiamo coscienza e controllo attivo sulla situazione. Possiamo quindi dire che quando la memoria non sta svolgendo la sua funzione predittiva, allora attiviamo la nostra attenzione.
Cosa c'entra tutto questo con il brand storytelling? Che stiamo guidando o ascoltando cosa ci dice un brand sui social, la soglia dell'attenzione rimane bassa finché qualcosa di inaspettato non la attiva: una storia, ad esempio, essendo difficilmente prevedibile, ha questa capacità.
Se inoltre aggiungiamo che è in grado di generare emozioni e di creare legami profondi vincolati a valori condivisi, capiamo che la potenza di una storia è qualcosa che va al di là delle parole con cui è scritta.
Ecco perché il brand storytelling è importante.
Scrivere contenuti rilevanti per i clienti
Bene, abbiamo visto cosa vuol dire storytelling e quanto sia importante per lo sviluppo di una strategia di comunicazione volta al raggiungimento degli obiettivi di acquisizione, di performance e di awareness.
Lo storytelling aziendale, in quanto strettamente connesso alla content production, è il processo che sta sopra quello che chiamiamo content strategy. "Processo" è la parola giusta, in quanto descrive un percorso che deve essere affrontato per intero prima di poter arrivare a scrivere contenuti rilevanti per i propri clienti. Il processo, in parte già affrontato, prevede:
- studiare le nostre buyer personas
- trovare le idee per scrivere contenuti rilevanti
- costruire un piano editoriale che sia di interesse per le nostre buyer personas
- definire i KPI che ci diano l'indicazione di quello che consideriamo "successo" (della strategia di contenuto in base agli obiettivi)
- creazione dei contenuti, linee guida e tono di voce
- content distribution, ovvero la scelta dei media attraverso cui diffondere il nostro verbo
Come chiudere più trattative con lo storytelling
Il tema della vendita sta diventando sempre più caldo, anche per noi, in OFG. Il tema dell'evoluzione da agenzia di comunicazione a growth agency è stato ampiamente dibattuto. Il riassunto è che, oggi, noi come agenzia consideriamo marketing, vendita e post-vendita come 3 elementi che concorrono a migliorare sia la customer experience che la relazione cliente/azienda.
Cercando di lavorare sia su marketing che sulle vendite è diventato per noi importante capire come ampliare i discorsi che siamo abituati a fare solo sul marketing, anche sulle vendite.
Esiste un tipo di storytelling diverso da quello che abbiamo raccontato finora: lo storytelling di vendita. Un tipo di storytelling più centrato sull'efficacia della conversazione, focalizzato a chiudere più trattative.
Questo tipo di storie gioca più su leve fisiologiche e sui meccanismi umani di gestione dell'attenzione e dell'ascolto. Inoltre, storie memorabili sono alla base della costruzione di una relazione che è alla base di una vendita. No relazione, no party.
Esistono almeno 3 tipi di storie attraverso cui migliorare la relazione e quindi chiudere più trattative e vendere di più:
- Le storie per empatizzare con il cliente. Sono storie sulla nostra azienda che rischiano di essere troppo autocelebrative. Ecco perché spesso dovrebbero avere come protagonista una persona, magari qualcuno con cui l'ascoltatore dovra à entrare in contatto prima o poi.
- Le storie basate su insight. Abbiamo questo tipo di storia quando le storie che raccontiamo hanno un riscontro nella realtà del mercato o nella realtà delle aziende nostre clienti. Questo modo di fare storytelling di vendita è tanto più efficace quanto la storia è rilevante per i nostri clienti e per il loro business. Rientrano in questa categoria le, ad esempio, le case histories.
- Le storie per chiudere una trattativa. Quando è il momento di chiudere una trattativa, spesso l'attenzione dei clienti si sposta dal momento attuale a quello che verrà dopo. Come sarà la sua vita "poi"? Come posso far capire al mio cliente come sarà lavorare con me? Quali storie posso raccontargli per dargli un'anteprima e convincerlo a lavorare con me? Quali storie posso raccontare per chiudere più trattative?
I 4 motivi per cui la tua azienda dovrebbe fare storytelling
Comunicare efficacemente è un lavoro complesso che richiede molte variabili in gioco, dal tono della comunicazione alla creatività, dalle buyer personas alle esperienze del cliente. Spesso, l'azienda non riesce a tenere tutto sotto controllo come vorrebbe. Ecco perché lo storytelling può essere la soluzione per semplificare e raggiungere obiettivi chiari attraverso una strategia di comunicazione ben definita.
Scegliere touchpoint che funzionano
Il primo motivo per cui è bene costruire una strategia di comunicazione basata sullo storytelling è che in qualche modo ci obbliga a fare delle scelte e semplificare. Non solo su cosa dire e come farlo, ma anche su quali mezzi e a quali persone: definire una strategia di comunicazione significa stabilire degli obiettivi e le modalità attraverso cui raggiungerli.
In questa fase mi preme sottolineare che "di più" non è necessariamente "meglio". Anzi, forse il contrario. Mancanza di risorse, budget centrato su altri reparti aziendali, progetti che non si riescono a chiudere: i motivi sono tanti e alla fine il risultato è che ci si perde dei pezzi per strada.
Meglio pochi punti di contatto ma ben presidiati che avere una dispersione di risorse su decine di touchpoint dove però nessuno risponde alle domande dei clienti. Scegliere bene i touchpoint da presidiare è strategico per la riuscita dell'attività di comunicazione e dipende in grande parte dalla buyer persona a cui ci stiamo rivolgendo.
Controllare il processo di comunicazione
Se stai facendo un'attività di comunicazione, se stai facendo Storytelling è perché vuoi essere il protagonista positivo della storia che stai raccontando. In altri casi è perché hai delle grandi storie da raccontare oppure perché i valori di cui sei promotore sono talmente forti che vuoi attirare una community che li condivida con te.
In altri casi invece si intraprende un percorso di comunicazione "home made", senza grandi premesse o attenzioni che può andare bene se si è fortunati o andare male quando la fortuna guarda da un'altra parte. Nella maggior parte dei casi non fa grossi danni, galleggia nel mare dei social media con qualche picco quando si accende la campagna adv, ma non porta grandi risultati.
Il che è un problema comunque perché per ogni social media, per ogni campagna attiva, per ogni post sul blog ci sono risorse impegnate a far sì che le cose nel bene o nel male girino, al di là del risultato che si ottiene. E qui potremmo aprire il discorso della misurazione e dei KPI che però affrontiamo in un'altra sede.
Qual è il rischio di presidiare male (o non presidiare affatto) un touchpoint?
Primo, se un cliente aspetta delle risposte che non arrivano perché non ci sono risorse disponibili, l'azienda non ne esce bene.
Secondo, l'azienda deve rimanere al governo della macchina della comunicazione: quando questa passa in mano alla community le cose potrebbero diventare velocemente ingestibili. I social sembrano una grande comunità ma le persone parlano con i propri contatti e la voce gira in fretta (una cosa del tipo "il paese è picolo, la gente mormora").
Raccontare belle storie quindi non è più sufficiente? Tendenzialmente no: un'azienda oggi non può permettersi di non avere il possesso delle storie che racconta, accettando il fatto che una parte delle storie online saranno spontaneamente raccontate dai propri clienti (chi si è trovato bene, chi male).
Quindi? Come si fa? Almeno 2 cose:
- Studio delle buyer personas per capire quali sono i mezzi che frequentano e presidio costante di quei media
- Investire sull'esperienza cliente o customer experience come se fosse la cosa più importante. E di fatto lo è perché oggi un prodotto è valutato non tanto per quello che è ma per quello che rappresenta e per come l'azienda gestisce l'intero processo di acquisto (customer journey).
Attenzione. Una customer experience curata nei minimi dettagli presuppone l'intervento del personale aziendale: dal momento che le aziende sono fatte di persone (ok, momento banalità), il loro coinvolgimento nel mindset aziendale e l'allineamento ai valori aziendali è fondamentale per la riuscita dell'operazione.
I social media sono un focus group sempre attivo
Dico "social media" ma stiamo parlando anche più in generale. Se ciò che dice Jeff Bezos sul brand è vero ("your brand is what other people say when you are not in the room), oggi abbiamo la possibilità di raggiungere e osservare in qualsiasi momento i nostri clienti: questa chance offerta dal digitale è un'opportunità incredibile per quei markettari capaci di approfittarne.
Non solo i social media sono un fantastico punto di osservazione dei nostri clienti ma la regola del "se non lo so, lo posso chiedere a loro" è sempre valida. Come ci hanno insegnato i Jobs to be Done, quello che decide l'azienda sul proprio prodotto conta il giusto: quello che conta veramente è l'obiettivo degli utilizzatori e il giudizio che danno all'esperienza che vivono durante l'acquisto (pre, durante e post acquisto in realtà).
In quest'ottica ogni prodotto, ogni design, ogni funzionalità non dovrebbero più dipendere da un'esclusiva decisione aziendale ma piuttosto da quello che desderano i suoi utilizzatori.
Puoi comunicare oltre l'ovvio e lo scontato.
Alle persone, quindi anche ai tuoi clienti, piacciono le sorprese. Piace poter vedere dietro le quinte e capire com'è il tuo mondo. Piace trovare un pretesto per festeggiare anche se non è Natale. Ma soprattutto piace sentirsi raccontare qualcosa che abbia un valore per loro, qualsiasi cosa sia. Ecco perché i post su Facebook dei prodotti non vanno: alla gente semplicemente in quel momento non interessa.
Attenzione, non è detto che non gli interessi mai ma semplicemente nel momento in cui sta guardando gattini sui social vuole solo distrarsi, non pensare a nulla di impegnativo. Ecco perché bisogna prima capire a chi stai parlando e poi bisogna stupirli, educarli, ispirarli. Insomma bisogna fare qualcosa per intercettare il loro interesse. E nella maggior parte dei casi questo "qualcosa" non è il prodotto.
Se vuoi approfondire, guarda gli esempi di storytelling selezionati per te.
Come fare storytelling per un brand?
Ma perché quelli dell'agenzia insistono tanto su questa strategia di comunicazione? Perché devono sempre rendere tutto più complicato? Bene. Se stai pensando ad almeno una di queste due domande, questo articolo non fa per te.
Per tutti gli altri, invece, la domanda è diversa. Qual è la differenza tra una comunicazione fatta a caso e una fatta con un pensiero strategico? La differenza è la fortuna. In che senso? Immagina di essere al volante della tua macchina. Sai che stai per andare in palestra, è l'ora di punta. Traffico, pedoni, semafori, case, marciapiedi. Quante sono le probabilità di schiantarsi guidando ad occhi chiusi? Praticamente il 100%.
Ecco, in che senso. Le probabilità di far schiantare un progetto iniziato senza analisi, senza un obiettivo chiaro e quindi senza una strategia sono molto alte. Se non succede (può essere) è fortuna.
Se ci prepariamo prima, invece, abbiamo molte più chance di dire le cose giuste, capire dove stanno le nostre buyer personas, anticipare gli imprevisti.
Se va male (può succedere) è sfortuna: con la differenza che se c'è una solida base strategica si può analizzare la situazione e riprendere in mano le fila del progetto per tararlo e virare verso acque meno profonde.
Quindi, a cosa serve una strategia di comunicazione? Direi:
- Obbliga a pensare ad obiettivi chiari (e misurabili)
- Fornisce una visione più ampia del progetto
- Integra il singolo progetto nel quadro generale (obiettivi più alti)
- Richiama la necessità di fare un'analisi preliminare
- Semplifica la gestione degli imprevisti
Non poco direi. E poi è tutto sotto controllo.
Gli elementi di una strategia di brand storytelling
Una strategia di brand storytelling efficace richiede una manciata di elementi dai quali non si prescinde e che possiamo riassumere in:
Analisi.
- Attuale approccio di comunicazione (e storytelling) all'interno dell'azienda. Come detto una strategia non può andare contro quello che un'azienda rappresenta o ha deciso di rappresentare in quel momento. Ci vuole coerenza.
- Una visione su come vuoi che la strategia evolva nei prossimi 6/12 mesi. Questo non vuol dire che la strategia sia scritta nella pietra, solo che è onesto pensare a come saranno i possibili sviluppi.
- Definizione delle buyer personas. Chi sono i tuoi clienti, cosa leggono, a quyali argomenti sono sensibili.
Definizione degli obiettivi e priorità
- Obiettivi di marketing + obiettivi di comunicazione. Quello che è l'obiettivo aziendale (commerciale, se vogliamo) e quelli che sono gli obiettivi intermedi che possiamo raggiungere attraverso la comunicazione. In altre parole, obiettivi a lungo termine e obiettivi più di breve, legati alla comunicazione.
- Priorità chiave. Possiamo in qualche modo gerarchizzare gli obiettivi? Abbiamo delle priorità che rendono quella cosa più importante di un'altra nel brevissimo termine?
Definire la strategia di contenuto
- Proposizione di valore. Perché i nostri clienti devono acquistare? Quali vantaggi hanno? Come ci differenziamo dalla concorrenza? Perché noi e non loro? Studiamo i nostri clienti e troviamo una corrispondenza tra i loro bisogni e quello che fa il nostro prodotto: questa deve essere la nostra value proposition. Qui ci viene in soccorso la teoria dei Jobs to be done.
- Le prove a sostegno. Una qualsiasi ricerca, analisi, dato o consumer insight che in qualche modo sostenga la nostra proposition.
- Best practices. Qualcuno lo ha già fatto? Lo ha fatto bene? Lo copiamo e basta o possiamo migliorarlo? Ricordati di adattarlo alla tua realtà.
Definire il piano editoriale
- Un piano di azione. Un piano a fasi in cui delineiamo le azioni da fare oggi, quelle da fare domani con un'idea su come far crescere il progetto e su come scalare al livello successivo.
- Le risorse necessarie. Tecnologia, persone, budget, processi, cambiamento culturale.
Misurare i risultati
- Risultati attesi e KPI. Se facciamo qualcosa a livello aziendale è perché ci siamo immaginati di avere un certo risultato. Quale? Come lo valuto? Cosa vuol dire per "successo". Ricordiamo sempre che fare è lecito, misurare è importante (proverbio cinese).
- Reporting. Già che ci siamo possiamo addirittura abbozzare una struttura per i report. Ci sono software che ci aiutano anche in questo (noi usiamo Databox o Google Data Studio)
Ricordati un punto importante: come detto qui sopra, la strategia non è scritta nella pietra. Non puoi pensare di scriverla e non cambiarla mai: la misurazione, la fase di reporting, esistono proprio per darti degli spunti per migliorare la tua strategia di storytelling e le azioni di comunicazione che ne conseguono.
La verità è che anche la stessa fase di analisi non dovrebbe essere solo una parte iniziale del progetto ma dovrebbero essere fatte anche in corso d'opera, in particolare (almeno) le interviste ai clienti per monitorare costantemente la loro percezione.
Molto probabilmente gli obiettivi a lungo termine non cambieranno. Quelli a breve potrebbero farlo. La strategia lo farà quasi sicuramente.
Cosa sono gli obiettivi smart
Prima di parlare di obiettivi, piccolo remind su cosa sono gli obiettivi smart.
Definire gli obiettivi del brand storytelling
La strategia di comunicazione, quindi, è il passo necessario per rendere efficiente l'esecuzione di un piano di comunicazione. Nel costruire una strategia di comunicazione, che sia o meno basata su storytelling, devi avere ben chiaro dove sei stato, dove sei ora e dove vuoi andare.
Questo livello di chiarezza non è sempre esplicito o facile da raggiungere. Noi di OFG Advertising abbiamo sviluppato un percorso di conoscenza, che utilizza soprattutto strumenti di Design Thinking, che abbiamo chiamato Discovery.
La discovery è un approfondimento che, non a caso, inizia con l'analisi della storia aziendale, di mission, vision e valori: conoscendo queste cose che, come abbiamo visto, sono alla base del brand storytelling, puoi capire se il progetto ha senso e puoi passare oltre: puoi pensare agli obiettivi.
Si guardano gli obiettivi su almeno 3 livelli:
- Aziendale.
- Di reparto.
- Di team.
Vuoi sicuramente che la tua strategia non contrasti con nessuno dei 3 livelli, altrimenti qualcuno, dall'alto o dal basso, si metterà di traverso.
Due parole su questo tema che è praticamente sempre sottovalutato. Le persone, anche i tuoi collaboratori quindi, sono fatte di credenze, convinzioni, idee, motivazioni, stanno bene (o meno) in un team. Come detto, sono persone. Ecco che arriva la frase fatta: le aziende sono fatte di persone e quindi i progetti devono essere portati avanti necessariamente da loro.
Il punto è che non si può dare per scontato che basta dire una cosa e quella viene fatta esattamente così come è stata pensata. A volte non viene proprio fatta. Quello che voglio dire è che la cultura aziendale è un tema che non deve essere sottovalutato e le persone stesse non devono essere date per scontate: la loro motivazione va guadagnata.
Il bello è che lo storytelling può aiutare anche in questo: i valori aziendali, una mission chiara e definita, processi ben strutturati aiutano indirettamente anche la gestione delle persone.
Per sintetizzare, potremmo dire che per gestire con successo una strategia di brand storytelling dobbiamo avere almeno:
- Una visione chiara e definita, che significa obiettivi chiari e misurabili.
- Una certa frequenza di pubblicazione, che significa un piano editoriale programmato.
- Familiarità con il target, che significa conoscere gli strumenti per approfondire la conoscenza delle tue buyer personas.
- Uno stile visivo personalizzato,che significa la definizione di linee guida per la tua attività social (o di comunicazione in generale).
Avere obiettivi chiari significa partire con il piede giusto e, come ogni volta, definire gli obiettivi significa definire le linee guida della futura strategia e obiettivi di marketing e comunicazione. Quindi ad esempio:
- Creare una community
- Mostrare i propri prodotti
- Fare awareness sul marchio
- Mostrare la cultura o la vita aziendale
- Aumentare la fidelizzazione
- Distribuire news e aggiornamenti (branded contents)
Se stabilisci un paio di obiettivi - presi o meno dagli esempi qui sopra -, hai già fatto un grande passo avanti. Il punto è che gli obiettivi definiscono la strategia e la strategia di comunicazione definisce i mezzi da utilizzare.
La prima domanda che ti devi fare, quindi, è: i media che sto usando sono i mezzi giusti da utilizzare per raggiungere gli obiettivi che mi sono posto?
Se la risposta è no, la seconda domanda che ti devi fare è: qual è il mezzo che mi consentirà di raggiungere i miei obiettivi nel minor tempo? Non ne farei una semplice questione di costo, non in questa fase. Per quanto sia corretto mantenere i costi sotto controllo, non capisco la spasmodica ossessione verso il risparmio: non stiamo parlando di comprare un pacco di pasta con il 50% di sconto ma del raggiungimento di obiettivi strategici di comunicazione e marketing dai quali dipendono mesi se non anni di lavoro e sui quali verremo valutati. Vale la pena mettere i risultati dietro al fattore risparmio?
A questo punto, domanda dopo domanda, avrai una lista di media, organizzati per affinità con le buyer personas (e per costi di gestione) e pronti ad essere utilizzati.
Non manca altro che definire la strategia di brand storytelling: cosa dico alle mie buyer personas? In che modo? Che tono di voce devo usare?
In linea di massima dobbiamo riuscire a mantenere un approccio smart, o meglio S.M.A.R.T.:
- Specific: sfruttare le peculiarità del mezzo
- Measurable: scegliere KPI matematicamente controllabili
- Attainable: scegliere obiettivi raggiungibili
- Relevant: generare contenuti rilevanti per il target
- Time based: definire la frequenza e dedicarci del tempo.
In questo blog abbiamo più volte parlato di storytelling aziendale dandolo quasi per scontato. Direi che è arrivato il momento di approfondire.
Cos'è lo storytelling aziendale? Cosa vuol dire storytelling? Perché è diventato così importante? Come trovare gli argomenti che aggiungano valore alle nostre storie? Che rapporto c'è con la creatività, nella sua classica accezione d'agenzia (art director e copywriter che stanno svegli tutta la notte a pensare alla campagna del secolo)? Che ruolo hanno gli insight sui clienti nella creazione delle storie?
Se, come ci siamo detti, le agenzie di comunicazione devono evolvere vuol dire che tutto sommato il mondo stesso della comunicazione sta vivendo un profondo cambiamento. I media non sono più quelli di una volta, i consumatori hanno aspettative sempre più elevate (e non ci sono più le mezze stagioni). Ok fin qui banalità. Vediamo di capirci meglio.
Il panorama mediatico mondiale negli ultimi anni ha avuto una forte evoluzione verso il personalizzato: smartphone sempre in tasca, retargeting, marketing automation, social media ads (e non so cos'altro) non solo 15 anni fa praticamente erano fantascienza, ma oggi ormai ci perseguitano come un incubo. In pochissimo tempo quindi i touchpoint si sono moltiplicati a livello esponenziale e oggi sono praticamente fuori controllo: saperli gestire tutti è diventato altro che un lavoro, direi che è una vera e propria vocazione. Primo consiglio che mi sento di dare: occhio alla content distribution, meglio pochi touchpoint ma ben presidiati che tanti lasciati al caso.
D'altro canto, top player come Amazon (su tutti) hanno alzato l'asticella delle aspettative: ora se vuoi mettere su un e-commerce devi competere con uno che ti consegna i prodotti in giornata e ti dà 30 giorni di tempo per avviare la pratica di reso in maniera completamente gratuita. Diciamo che, visto che loro fanno, da consumatore mi aspetto che lo facciano tutti. Non così facile come dirlo. Non solo. Leggevo da qualche parte che Amazon ha una tale flessibilità tecnologica e di processi che in una mezza giornata è in grado di aggiornare l'home page a livello mondiale per stare al passo con promozioni estemporanee. Non è da tutti, contando che ci sono aziende che non lo riescono a fare in un mese.
Storytelling aziendale e customer experience
Senza volerlo (o almeno così pare), abbiamo introdotto il concetto di brand experience e customer experience. Oggi la customer experience è più importante di qualsiasi campagna creativa. Di qualsiasi operazione di marketing. Di qualsiasi promozione.
Oppure, meglio, l'esperienza del cliente è tutte queste cose messe insieme. Oggi la vera differenza nel comunicare, rispetto anche solo a 10 anni fa, è che operazioni isolate e svincolate da una strategia più ampia non hanno più senso, proprio perché il consumatore si aspetta di interagire con i suoi brand preferiti attraverso diversi canali. In qualsiasi momento. In qualsiasi luogo.
Mancare la promessa di esserci sempre, di essere sempre aperti al dialogo, di offrire sempre e comunque un supporto (anche se automatizzato) significa perdere la grande opportunità di costruire un rapporto.
Ricordiamo che per costruire una customer experience bisogna studiare il proprio target (o meglio le proprie buyer personas) e bisogna costruire un customer journey che non abbia cadute di stile: dalla fase di ricerca delle informazioni, dove il customer journey è costellato di micro momenti che ampliano di fatto le possibilità di contatto (a patto che l'azienda sappia comunicare in questa fase nel modo corretto) alla fase post-vendita.
Quindi. Il primo punto è che per essere un brand fico devi regalare un'esperienza ai tuoi clienti. Come si costruisce una customer experience? Anche (ma non solo) attraverso lo storytelling aziendale. Ecco perché l'identificazione delle leve di comunicazione come la value proposition possono variare da buyer persona a buyer persona e sono alla base del processo di Discovery. Ecco perché devi prima di tutto imparare a conoscere i tuoi clienti, perché per essere rilevante per loro devi sapere a quali topic sono sensibili.
E quindi, ancora, cosa vuol dire storytelling aziendale?
Storytelling aziendale vs. branding
Per capire il concetto di storytelling dobbiamo prima parlare di cosa intendiamo per fare "branding" (traduzione in italiano non pervenuta, mi spiace). Branding non è sicuramente solo un argomento legato al tuo logo, ai tuoi colori, al tuo brand book o alle tagline che accompagnano le tue campagne. Non è neanche legato a quello che dici sui social. Branding è qualcosa che dipende strettamente dai tuoi clienti: secondo un interessante libro che sto leggendo (The Laws of Brand Storytelling) branding è un qualcosa di relativo alle storie che le tue community costruiscono attorno alla mission della tua azienda. Wow. E non stiamo parlando solo di content marketing o User Generated Content. E allora, di cosa stiamo parlando?
Fondamentalmente vuol dire che tutto quello che la tua azienda (tu, il tuo marketing, i tuoi sales, i customer care, chiunque) decide di essere non conta: nell'era dell'empowered customer, tu sei quello che i tuoi clienti dicono tu sia. Punto.
Qualcuno tradurrebbe questa cosa in "fatti, non pugnette". Il punto è proprio questo: se fino a qualche anno fa era sufficiente dire siamo belli e bravi e farci una campagna sopra, oggi questo non vale più. I fatti contano, perché le piattaforme su cui cercare testimonianze di altri clienti (soddisfatti o insoddisfatti) sono aperte sul mondo. Una volta era solo passaparola, efficace ma di lenta diffusione. Oggi è tutto scritto e accessibile 24/7. Se tratti male qualcuno o il tuo prodotto non vale molto, in poco tempo lo sapranno tutti.
Non è un caso che lentamente i call center stiano tornando in Italia o che i toni utilizzati dagli operatori siano cambiati: ormai quando si cerca un servizio o si vogliono leggere le opinioni di altri utenti basta googlare o andare sul profilo social di un'azienda e i nodi vengono al pettine. Insomma, se dici di essere fatto in un certo modo ma i tuoi clienti dicono il contrario, hanno ragione loro. Anche se non è vero. Su questo punto ritorniamo più avanti.
Ho esempi personali di call center di grandi aziende della telefonia fissa e mobile che negli anni hanno cambiato parecchio l'approccio con la mia azienda. E nonostante questo, dopo tanti anni di call center mal gestito, non basta per farmi cambiare opinione di loro.
Il punto è che l'empowered customer (fondamentalmente un potenziale cliente che ha dalla sua parte il mondo dell'informazione condivisa, per cui del tuo prodotto probabilmente ne sa più di te) non perdona: i suoi commenti, il suo blog, i suoi video sono accessibili da tutto il mondo e il suo punto di vista conta più del tuo o di quello della tua azienda. Il referral marketing si sta facendo sempre più strada tra le varie discipline della comunicazione: l'opinione di altri che hanno provato prima di me un prodotto è uno dei fattori decisivi per la scelta. Tanto che Amazon, che l'ha capito già tanti anni fa, ha costruito un sistema automatico in cui le domande degli utenti finiscono ad altri utenti che hanno già acquistato e li incentivano a rispondere per ampliare sempre di più il parco recensioni dei prodotti.
Lo storytelling aziendale quindi non è solo una questione di comunicazione ma anche un tema legato alle vendite e al post vendita. Lo storytelling aziendale infatti deve poter essere usato non solo in fase di awareness ma anche nelle fasi più avanzate di consideration e decision, dove di fatto si passa alla vendita. Hai ancora qualche dubbio?
Ecco perché "branding" è qualcosa legato a quello che i tuoi clienti dicono di te. Ma cosa vuol dire che è legato alla tua mission aziendale? Fondamentalmente perché tutto ruota intorno a quello che sei. Attenzione. Proprio a quello che sei, non a quello che dici di essere: come detto poco sopra, se non sei genuino e fedele ai tuoi valori i tuoi clienti se ne accorgono.
Questo è uno dei motivi per cui mission, vision, valori devono essere il punto di partenza di ogni strategia di comunicazione e sono il primo punto da cui parte la nostra Discovery.
Avere dei valori e riportarli con fierezza in comunicazione significa iniziare a costruire un'attività di storytelling aziendale: vuol dire attirare a sé le community che condividono quegli stessi valori di cui noi ci facciamo promotori. Loro credono in quei valori ed è per questo motivo che sono così importanti per loro: se tradiamo i valori in cui diciamo di credere e che condividiamo con i nostri clienti, tradiamo la loro fiducia. Poi recuperare non è facile come dirlo.
Se la tua mission è essere un'azienda ad impatto zero tutto quello che fai deve rispettare questa unica affermazione. E non sto parlando solo dei clienti, sia ben chiaro. Lo storytelling aziendale riguarda tutti: clienti, fornitori, dipendenti, partner, media. Tutti.
Capisci le controindicazioni di dire che siamo ad impatto zero e poi viene fuori che le nostre centrali inquinano un'area verde? O anche più banalmente che i miei dipendenti vengono tutti in macchina e che non gli abbiamo dato la possibilità di fare neanche mezz'ora di smart working? O ancora che ho scelto un fornitore che costa meno ma che non è attento ai materiali che usa per finire il mio prodotto?
Oggi su queste cose ci si gioca praticamente tutta la credibilità nel confronti del mercato. Ecco perché lo storytelling aziendale è importante, perché significa raccontare storie reali e con un fondamento. Significa essere sinceri e trasparenti.
Quindi alla luce di tutto questo, cos'è un brand? Non è sbagliato dire che un brand è la somma delle interazioni che ogni cliente ha su ogni touchpoint del suo ecosistema di comunicazione. Questo non solo sottolinea il fatto che non sei tu a decidere cosa è il tuo brand ma rimarca che è la percezione che gli utenti hanno di te che fa di te ciò che realmente sei.
Ricordiamo una famosa citazione di Jeff Bezos che va esattamente nella direzione che stiamo delineando:
Your brand is what other people say about you when you're not in the room
Questo, in termini operativi, dovrebbe spostare parecchio gli obiettivi di marketing e di conseguenza gli obiettivi di comunicazione: da un tema di awareness ad un tema di dialogo. Sarebbe un bel passo.
Storytelling aziendale e brand identity
Alla luce di quello che ci siamo detti, essere un brand comporta delle belle responsabilità nei confronti delle proprie community di riferimento: fare storytelling aziendale significa instaurare un dialogo. Lo storytelling può avere la forma di un video, di un tweet, di un customer care curato, di un'iniziativa di CSR (Corporate Social Responsibility) o di non so cos'altro ma tutto deve essere fatto in maniera non autoreferenziale ma per la nostra community, in linea con i suoi (e i nostri ) valori.
Lo storytelling aziendale, quindi, è una questione di relazione e mette le persone al primo posto: ogni interazione che il nostro brand ha con il mondo contribuisce a disegnare la sua Identità di Marchio. Questo sancisce definitivamente che la Brand Identity non è (solo) una questione di logo e palette colori, che comunque ne fanno parte.
A questo livello troviamo quindi due categorie di storie. Macro e Micro.
Le Macro Storie sono quelle che stanno alla base dell'azienda stessa, la definiscono come tale. Stiamo parlando proprio del logo e delle linee guide ma anche della storia dei fondatori, dei valori in cui credono e della loro missione come imprenditori: i motivi per cui l'azienda esiste. Questo è un tema da non sottovalutare perché definisce, oltre al resto, anche il comportamento dei manager, dei dipendenti e le relazioni commerciali tra fornitori. Sono alla base della motivazione, danno un grande senso di identità aziendale: sono la bussola con cui ci si orienta.
Le Micro Storie sono la benzina della tua strategia di comunicazione e storytelling: sono l'approccio del day-by-day con il quale tieni sempre vive le Macro Storie. Sono quelle piccole azioni di comunicazione che utilizziamo per tenere vivo il ricordo della nostra azienda nella testa dei nostri clienti: un blog aziendale è un esempio perfetto. Riusciamo ad essere rilevanti se rimaniamo in qualche modo fedeli ai nostri valori.
Le storie Micro, ovviamente, non possono contraddire quelle Macro: non possiamo generare incoerenza. Anzi. Il punto è che devono essere una loro estensione perché quello che cerchiamo, il nostro obiettivo, è proprio la coerenza.
Brand storytelling, un esempio a cui ispirarsi
Un esempio che porto sempre alle lezioni che tengo sullo storytelling aziendale è l'esempio di un'azienda italiana che si chiama Save the Duck. Quest'azienda nasce nel 2012 come costola di un'azienda del mondo fashion, sempre italiana, nata nel lontano 1914.
Perché mi piace questo esempio di brand storytelling? Fondamentalmente perché è un'azienda dichiaratamente animal-free e cruelty-free, dai forti valori legati all'impatto ambientale dei propri capi (in un business che storicamente è sempre stato altamente inquinante). Senza dimenticare di evidenziare la tecnologia e la tecnicità dei propri capi.
Questo riporta tutto su un piano di sostenibilità che difficilmente non si può apprezzare. Prima azienda B-corp in Italia del mondo fashion, le sue storie sono legate ad un mondo libero da violenza sugli animali, a basso impatto e che aiuta a migliorare la vita anche delle persone.
La coerenza si vede anche nei progetti e nelle associazioni che decidono di sostenere e agli influencer a cui hanno scelto di legarsi.
Luca Bizzarri