Brand storytelling: cos'è e come scrivere contenuti di valore

Brand storytelling cos'è e come scrivere contenuti di valore

Fare storytelling per un'azienda non è sempre una cosa semplice. Significa spesso mettersi in gioco, approfondire argomenti che non sempre sono considerati una priorità, come ad esempio i propri valori, mission o vision, e infine definire strategie di comunicazione di medio periodo.

Creare una storia aziendale significa prendere il passato, il presente e il futuro dell'azienda, mixarli con sapienza e produrre una serie di contenuti di rilevanza per il proprio target. In tutto questo, ovviamente, conoscere le proprie buyer personas è fondamentale per sapere cosa scrivere.

Trovare qualche cosa di interessante da dire è una questione sempre aperta: ogni brand ha i suoi problemi nel continuare a rinnovare i suoi argomenti e nel trovare storie che siano autentiche. E per "autentiche" intendo almeno 2 cose:

  • Che siano legate al modo in cui l'azienda vede il mondo (oggi e non come vorremmo che l'azienda vedesse il mondo)
  • Che riflettano la storia dell'azienda, la sua mission e i suoi valori

Perché, va ricordato, lo storytelling è principalmente legato al mondo delle emozioni: la maggior parte delle decisioni di acquisto (delle decisioni in generale, in realtà) avvengono su base emotiva e non razionale. Anche se i numeri ci possono aiutare a prendere una direzione o l'altra.

Storytelling: definizione

In un contesto aziendale, definiamo storytelling l'abilità di raccontare storie che siano rilevanti per i propri clienti con l'aperto obiettivo di costruire una relazione con loro. Brand storytelling è quindi un'attività strategica che sta sopra il content marketing e ne definisce le tattiche.

Abbiamo visto che lo storytelling aziendale è principalmente legato a quella che potremmo definire un tipo di comunicazione istituzionale e che una descrizione tecnica del nostro prodotto difficilmente potrebbe rientrare nella categoria.

Una storia vera è qualcosa che ci tocca a livello personale, che scatena in noi emozioni, che vibra sulle nostre stesse corde. Una storia è schierarsi a favore di qualcosa in cui l'azienda crede anche se significa prendere una posizione e non piacere a tutti. Una storia è fare un'operazione in aperta opposizione al governo Trump, in favore di ogni tipologia di famiglia indipendentemente dal sesso o dal colore di entrambi i genitori. Una storia è rispondere in maniera provocatoria agli hater sui social media o realizzare una variante particolare di un prodotto che storicamente non cambia mai.

Per chiarire il concetto, abbiamo selezionato degli esempi di storytelling. L'importante è che sia autentica, nel senso descritto qui sopra. E soprattutto l'importante è che sia pensata, che faccia parte di una strategia di comunicazione più ampia.

Attenzione però. Stiamo sempre parlando di marketing, non di buonismo. Lo storytelling è e rimane uno strumento di comunicazione che serve a raggiungere i nostri (potenziali) clienti e a coinvolgerli con contenuti per loro rilevanti. Fare un'operazione di charity (beneficienza) e raccontarlo a tutti non è fare storytelling, è solo cattivo gusto. Separiamo bene quello che è marketing (e quindi ha una finalità commerciale) da quello che è fatto in coscienza per aiutare chi è in difficoltà.

Attenzione un'altra volta. Ho scritto (mi autocito) "anche se significa prendere una posizione e non piacere a tutti". Questo significa che posso perdere dei clienti? Sì è possibile che succeda. Ma è possibile anche che succeda che ne prenda di nuovi. Ma soprattutto è possibile che fidelizzi quelli ho già e che sono proprio quelli che credono nelle stesse cose in cui crede l'azienda: questi sono quel tipo di cliente che ci piace, perché sono o diventeranno brand lovers. La maggior parte di quelli che invece vedranno la nostra storia e non saranno d'accordo con noi con buona probabilità non sarebbero in ogni caso mai diventati clienti.

In pratica bisogna farsi una domanda. Che non è tanto "quanti rischi mi sto prendendo" ma "qual è il rischio di non prendere una posizione definita"?

Secondo una ricerca Sprout Social, la maggior parte dei consumatori afferma di voler sapere la posizione dei loro brand preferiti in merito ad attività che sono per loro stessi importanti. Addirittura 2/3 del totale degli intervistati vuole conoscere la posizione dei brand su temi politici e di attualità. Il marketing sta arrivando fin qui.

A cosa serve il brand storytelling

Storytelling aziendale significa quindi disegnare una strategia di comunicazione che abbia l'obiettivo di agire, anche attraverso la brand identity, sul posizionamento di marchio grazie all'uso di tecniche narrative che generino una risposta emotiva nella nostra audience con lo scopo di costruire una relazione con loro.

Il tutto con una particolare attenzione al processo di vendita perché tutto ciò che è fatto da marketing e comunicazione non può essere fatto solo per divertimento o perché è figo farlo (vedi ad esempio il discorso delle vanity metrics) ma deve avere un effetto su ciò che viene direttamente dopo: marketing e comunicazione devonoimpattare sul processo di vendita.

Cioè, iniziamo a costruire una relazione con i nostri futuri clienti grazie alla comunicazione: ovviamente tutto questo perché il processo di vendita inizia molto prima dell'uso del prodotto e fondamentalmente, per poter vendere, è necessario avere la fiducia di chi compra. Solo che questa fiducia non è facile da ottenere. Lo storytelling aziendale è uno dei modi per iniziare questo processo. 

Il ruolo delle buyer personas

Cosa sono le buyer personas?

Le buyer personas sono una razionalizzazione degli aspetti principali di una categoria di cliente, fatte astraendo le loro caratteristiche comuni. Studiando clienti simili tra loro, si trovano dei tratti condivisi che disegnano un profilo di un cliente ipotetico. Non stiamo parlando di un cliente vero, ma di una sua rappresentazione ideale, fittizia.

A cosa serve disegnare le buyer personas?

Tratteggiare correttamente il profilo dei nostri clienti ci aiuta a comprendere meglio chi sono e avere un'attenzione maggiore alle tipologie di contenuti che creiamo per loro. Perché, esattamente come succede nella vita reale, ho molti più argomenti da affrontare quando conosco bene il mio interlocutore: con i miei amici mi relaziono più facilmente perché so quali sono i temi che interessano e sui quali possiamo avere un dialogo.

Come costruire le buyer personas

Tendenzialmente si fa un'analisi di:

  1. aspetti socio-demografici per tratteggiare come sono fatti (genere, età, residenza, figli e così via).
  2. aspetti psicografici come i loro interessi, i valori, le caratteristiche personali, il loro pensiero su determinati argomenti rilevanti per il nostro business.
  3.  bisogni, aspettative e job (proprio quelli della teoria dei jobs to be done).

Il risultato di questo profilo è una figura ipotetica (la buyer persona appunto) che sarà interessata a determinati argomenti e meno attenta ad un altro tipo di discorsi (ad esempio una manager mamma potrebbe essere più sensibile a certi discorsi sulla famiglia o un libero professionista single potrebbe essere più attento ad argomenti legati alla vita in solitaria).

Ci sono diversi strumenti che servono per tracciare il loro profilo, noi usiamo il nostro buyer personas canvas e l'empathy map che puoi trovare qui.

Scrivere contenuti rilevanti

Quindi, da dove inizio a trovare le storie? Si inizia dall'azienda. Dalla storia, dalla mission, dai valori sono quasi stanco di dirlo. Poi si passa alle buyer personas. Bisogna conoscerle per sapere cosa è rilevante per loro, a cosa sono interessati, quali sono gli argomenti che li toccano.

Gli argomenti devono dare il punto di vista dell'azienda sul mondo. Il modo in cui li raccontiamo, i media che usiamo, gli strumenti che attiviamo invece dipendono principalmente da come sono fatti i nostri clienti.

Poi dobbiamo evitare 5 errori (più pregiudizi che errori) abbastanza diffusi:

  • Siamo un'azienda piccola non abbiamo niente da dire
  • I nostri prodotti sono noiosi
  • Le nostre storie devono piacere a tutti
  • Se la storia non è eccezionale, non vale la pena di raccontarla
  • Bonus track: lavoro nel B2B e non ci sono storie interessanti che posso raccontare

Qualche commento sparso.

Siamo un'azienda piccola. E quindi? La dimensione non conta (almeno nel marketing) e ci sono tantissime piccole eccellenze che devono essere raccontate. L'importante non è quanto sei grande o quanto sei piccolo, l'importante è sviluppare uno storytelling allineato ai tuoi valori e ai tuoi obiettivi. Paradossalmente una piccola eccellenza potrebbe avere molte più cose da raccontare di una grande azienda multinazionale con prodotti standardizzati. Beh certo, poi c'è la questione budget, ma quello non è un tema di content marketing o strategia di comunicazione, solo di visibilità.

Non abbiamo niente da dire. Non è vero e non è possibile. Il marketing può riguardare ogni aspetto della tua azienda. Sono aziende legate alla storia del fondatore, alla famiglia, all'intuizione di un pioniere che guardano al benessere della comunità, del pianeta, al risparmio energetico, alla tutela di alberi e animali. Qualsiasi cosa sia, raccontala. Per te è normale perché fa parte della quotidianità ma rimarrai stupito di quanto potrebbe interessare ad un tuo potenziale cliente.

I nostri prodotti sono noiosi. Forse. Ma forse no. Abbiamo scoperto che anche i prodotti B2B più spinti hanno dietro una storia di design, tecnologia, artigianalità, trend, local vs global, sicurezza, brevetti e tecnicismi vari. Ogni settore ha le sue peculiarità ed è sempre interessante aprire le tende del palco per dare un occhio a quello che succede nel backstage.

Le nostre storie devono piacere a tutti. Ne abbiamo parlato qualche riga fa, meglio schierarsi apertamente e attirare brand lovers che provare ad attirare anche chi non diventerà mai nostro cliente.

Sul B2B c'è poco da dire. Non è che il B2C è figo e il B2B fa schifo per forza. Storicamente il marketing nel B2B è un po' rimasto indietro perché è un settore principalmente guidato dai commerciali e dalle vendite. E questa non è che un'opportunità di crescita.

Come trovare  la giusta value proposition

Questo è un bel tema e comincerei con la definizione di valore. Come definiamo il "valore" per qualcuno? Cosa è "di valore" per i tuoi clienti? Come i tuoi clienti percepiscono la capacità della tua azienda di generare valore per loro?

Valore può avere diverse definizioni. La prima è legata al valore puramente economico, inteso come l'equivalente in denaro che una persona è disposta a pagare. Ovviamente non è questo il tipo di valore di cui stiamo parlando. Allora potremmo parlare dei benefici ottenuti in relazione al costo sostenuto. Anche qui, è un'evoluzione della prima e non in linea con il genere di valore che vogliamo discutere qui.

Il valore che ci interessa è profondamente connesso al concetto dei jobs to de done e si riferisce alla capacità di risolvere un problema per il quale un cliente ha deciso di acquistare un nuovo prodotto. Ora che abbiamo definito cosa intendiamo per valore, vediamo come possiamo costruire una proposizione di valore.

Value proposition canvas

Non vorrei fare il solito articolo sul value proposition canvas dove spiego come funziona ma mi concentrerei più che altro su come utilizzarlo al meglio. Puoi trovare molte versioni del value proposition canvas in rete: per dovere di cronaca è giusto attribuirne la partenità a Alexander Osterwalder di Strategyzer.com. Detto questo.

Il Value Proposition Canvas è una estrapolazione del Business Model Canvas e in particolare è un focus sulle 2 parti legate alla Value Proposition e ai Customer Segments. Come funziona il Value Proposition Canvas?

Fondamentalmente si analizzano i job dei clienti e in base ai job (teoria dei jobs to be done) si capiscono quali sono i pain e i gain, cioè i problemi che i clienti hanno e i vantaggi che possono ottenere se quel job fosse completato. Una volta analizzata la parte del cliente, si può passare alla parte del prodotto. In relazione ai pain e gain, quali sono le caratteristiche del prodotto che hanno funzione di creare un vantaggio (gain creators) o risolvere un problema (pain relievers) per il cliente? Alla fine l'obiettivo è trovare il giusto "fit" tra ciò che fa il prodotto e le esigenze.

Value proposition canvas: area clienti, cosa non fare

  1. Mescolare diverse buyer personas nello stesso Value Proposition Canvas. Un Value Proposition Canvas per ogni segmento di clientela (buyer persona). Pain e gain sono specifici per ogni segmento di clientela e ogni persona vede obiettivi e risultati in base alla sua esperienza, al suo ruolo, al suo lavoro.
  2. Confondere i job con le azioni sottese. I job sono gli obiettivi. Per raggiungere questi obiettivi servono delle azioni concrete. Non confondere l’arrivare in orario con il prenotare un taxi. “Arrivare in orario” alla riunione è l’obiettivo ultimo che è fatto non solo di azioni legate al taxi, ma banalmente implica anche lo svegliarsi in tempo.
  3. Valutare anche job sociali ed emozionali, non solo quelli funzionali. “Fare bella figura” può a volte essere un obiettivo più importante di altri: non dimentichiamo job sociali o emotivi.
  4. Elencare i job, pain e gain avendo in mente i propri prodotti. Gli aspetti legati al cliente esistono indipendentemente dal proprio prodotto: quando ricerchiamo i job dobbiamo essere imparziali e dimenticarci di quello che offre la nostra azienda. 
  5. Identificare pochi job, pain e gain. Ognuno di noi come consumatore ha molti obiettivi, un’analisi approfondita aiuta a costruire una VP chiara e distintiva.
  6. Essere troppo vaghi nelle loro descrizioni. Rendi le descrizioni più chiare e meno interpretabili. Se stiamo parlando di ritardo, quanto massimo ritardo è accettabile? Meglio portare i clienti in anticipo. Come risolvere questo job?

Value proposition canvas: area prodotti, cosa non fare

  1. Elencare tutti i prodotti e non solo quelli dedicati alla buyer persona che stiamo trattando. Il valore generato da un prodotto è relativo agli obiettivi di un cliente. Se cambiano gli obiettivi, cambia la percezione del valore generato.
  2. Aggiungere prodotti o servizi nei campi dedicati a pain relievers e gain creators. Questi ultimi sono il modo in cui i prodotti generano valore, non sono i prodotti stessi.
  3. Inserire pain relievers e gain creators che non hanno nulla a che fare con pain e gain del cliente. I prodotti e i servizi non generano valore in assoluto ma solo in relazione alle esigenze dei clienti.
  4. Non essere realisti nel tenere conto di tutte le difficoltà e vantaggi per il cliente. Non si può essere tutto per tutti: bisogna scegliere quali job, difficoltà e vantaggi affrontare e lasciare indietro il resto. Stiamo disegnando una Value Proposition e non (ancora) il prodotto.

Il journey dell'eroe

Perché parliamo del journey dell'eroe? Perché credo che in quanto marketers, abbiamo molto da imparare. Vediamo cosa.

Le storie che ci hanno raccontato e i film che siamo abituati a vedere hanno di fondo tutti la stessa struttura. Gli stessi eroi che vivono queste storie sono in realtà diverse versioni dello stesso eroe: uno scrittore (Campbell) ha analizzato migliaia di storie e ha effettivamente riscontrato una importante somiglianza tra tutti i protagonisti dei racconti più famosi, da Dante a Re Artù. 

Tutti infatti hanno in comune il viaggio che fanno: Frodo, Luke, Harry intraprendono un percorso simile, anche se in contesti, mondi ed epoche diverse. I dettagli del viaggio dell'eroe, i momenti di cui è costruita la storia, variano leggermente tra le versioni: vediamo oggi quella che più ci interessa per il discorso che faremo dopo (e prendiamo come esempio Il Signore degli Anelli).

Primo punto interessante: il journey deve essere visto come un processo circolare, in cui tutto inizia nel proprio mondo, nella propria vita quotdiana ed è lì che finirà. Solo che, vedremo, il nostro eroe al suo ritorno sarà cambiato, migliore di prima. Altro punto interessante è che, quando inizia il viaggio, il nostro eroe abbandona la sua zona di comfort per entrare in un mondo che non conosce e che fondamentalmente è un luogo dove regnano caos e incertezza.

  1. Status quo. Il nostro eroe vive la sua vita ma ad un certo punto arriva la chiamata all'avventura (Frodo riceve l'Unico Anello e ne diventa il portatore).
  2. Bisogno. Qualcosa nella sua vita non funziona più come prima e la chiamata all'avventura genera un bisogno, una necessità (Frodo deve portare l'Anello a Granburrone ed evitare che finisca nelle mani di Mordor).
  3. Inizia il viaggio (Frodo, con Sam e gli altri Hobbit, parte per incontrare Gandalf)
  4. Parte alla ricerca di un modo per non soccombere alle forze del male (Frodo cerca alleanze, cerca incostantemente di raggiungere il Monte Fato e soprattutto cerca di resistere all'Anello)
  5. Trova quello che cerca (a Granburrone trova l'aiuto che stava cercando e forma la compagnia dell'anello)
  6. C'è un meccasimo di "give and take" (per cui trova i compagni ma perde Gandalf)
  7. Tra decine di ripetizioni di questo meccanismo, alla fine del viaggio torna a casa (torna nella Contea)
  8. Il suo mondo è cambiato e così la sua visione dello stesso (Frodo non guarisce dalle ferite e parte insieme agli Elfi). E inizia così una nuova vita.   

Storytelling aziendale: cos'è e come ci aiuta nel processo di vendita

Il customer journey 

Perché stiamo parlando del viaggio dell'eroe? Bella domanda.

Tendenzialmente ognuno di noi è un eroe, a modo suo. Ogni persona è un eroe perché ogni giorno affronta problemi che spesso sono anche peggiori che non dover rigettare l'Anello nel Monte Fato. Un esame all'università, un provino di tennis, imparare a suonare il pianoforte sono tutti problemi che richiedono soluzioni più o meno immediate e che soprattutto sono importanti per ognuno di noi.

Così il nostro cliente, per cercare di superare i suoi problemi, intraprende il suo viaggio, il suo customer journey che è composto dagli stessi momenti del viaggio dell'eroe:

  1. Status quo. Il nostro protagonista è quel potenziale cliente. È felice, a suo agio. La vita è bella.
  2. Bisogno. Qualcosa non va. Manca qualcosa nella sua vita. Può arrivare a questo insight da solo o potrebbe arrivarci perché glielo facciamo notare noi attraverso qualche azione di marketing o comunicazione.
  3. Inizia i viaggio. Decide quindi di trovare una soluzione a questo problema.
  4. Parte la ricerca, cerca una risposta. Valuterà ogni opzione, qualsiasi soluzione giusta o sbagliata. Potrebbe essere il tuo prodotto, potrebbe essere quello della tua concorrenza. O potrebbe essere qualcosa di completamente diverso (il concetto di competizione, secondo la teoria dei Jobs to be Done, è abbastanza aperto). Alla fine ci sono finali di questo punto: trova una soluzione o semplicemente decide di non fare nulla.
  5. Trova quello che cerca, l'opzione che ritiene migliore.
  6. Give and take. La prende e paga un prezzo. Non solo il suo controvalore economico ma un costo in tempo ed energie per provare, capire, imparare. Questo è il momento in cui arriva anche il risultato della "social proof": cosa pensano gli altri della scelta che ho fatto? 
  7. Ritorno. Torna nel suo mondo di comfort, portando il suo nuovo strumento e lentamente si riadatta alla sua vita di tutti i giorni.
  8. Cambiamento. Il nuovo oggetto fa parte della sua nuova vita. Ora può essere ancora meglio in quello che fa.

Come cambia il customer journey

  1. Quella che abbiamo raccontato, in un modo o nell'altro, è semplicemente una storia di cambiamento: comprare qualcosa innesca un processo di crescita che ci porta a diventare migliori. Guarda caso, il miglioramento della propria condizione (il self betterment di cui parla Klement) è alla base della teoria dei Jobs to be Done.
  2. Il processo di vendita, il customer journey, inizia molto prima di quanto ci possiamo immaginare, molto prima dell'acquisto di un prodotto. E finisce molto dopo. Il viaggio inizia quando c'è una nuova necessità e quando sento che la mia condizione deve essere migliorata. E finisce quando la mia condizione è migliorata ma, anche in questo caso, non è detto che i miei rapporti con l'azienda che mi ha venduto il prodotto debbano terminare. Anzi.
  3. I clienti hanno tutti lo stesso percorso, ma non tutti entrano nella stessa fase. E non tutti decidono negli stessi tempi. Ecco perché i contenuti devono essere diversi nelle diverse fasi del customer journey e devono rispondere alle diverse domande che i clienti hanno nei diversi punti del loro viaggio da consumatori. Se siamo capaci di capire in che stage sono, siamo in grado di aiutarli a scegliere la soluzione migliore per loro (la nostra soluzione possibilmente).
  4. L'area di incertezza per il cliente, il mondo in cui si trova dopo aver iniziato il suo viaggio, guarda caso è proprio l'area dove noi siamo più forti. È la nostra area di comfort, il nostro mondo dove noi possiamo (e dobbiamo) essere d'aiuto,
  5. C'è un motivo se è il customer journey è circolare. La tua soluzione è a prova di concorrente? A prova di futuro? O, come per tutto il resto, è plausibile pensare che la condizione del tuo cliente (oggi soddisfatta) potrebbe essere ancora migliore in futuro? In questo caso dobbiamo essere in grado di stare al passo con i tempi e garantire aggiornamento costante.

Crescere  attraverso la comunicazione

Bene, abbiamo visto che in quanto clienti siamo praticamente degli eroi. O meglio, diciamo che abbiamo un percorso simile a chi cerca, ogni volta, di sconfiggere il male per sempre. Fondamentalmente il customer journey non è una questione (ovviamente) di magia, spade fiammeggianti e draghi ma è una questione molto più semplice: c'è qualcuno con un problema che sta cercando una soluzione.

Se tu e la tua azienda non solo siete in grado di aiutare ma siete anche capaci di esserci al momento giusto, allora il primo passo verso la costruzione della relazione è fatta. L'inbound marketing e l'inbound sales, riassunti in 4 parole, sono questo.

Luca Bizzarri