La teoria dei Jobs to be Done non è nuova ma stranamente in Italia è ancora troppo poco conosciuta. Forse non è poi così strano, visto che in comunicazione non siamo certo un popolo di pionieri.
Personalmente, al di là dei sensazionalismi che alcuni cercano di dimostrare, la trovo una teoria molto interessante perché si fonda un semplice assioma: la costante ricerca di miglioramento che contraddistingue noi esseri umani.
Proprio per questo motivo è una teoria che piace tanto a chi fa Design Thinking: perché i JTBD diventano uno strumento che tende a diventare la luce che guida il cambiamento, la bussola che indica la direzione verso l'innovazione di prodotto o di processo.
Jobs to be done: il valore percepito di un prodotto
Tenendo questa storia del continuo miglioramento ben in mente, i JTBD parlano direttamente a designer e marketer affermando che bisogna trovare un nuovo modo di interpretare quello che i loro clienti percepiscono essere "di valore".
Il valore di un prodotto non deve essere necessariamente legato alle sue caratteristiche ma piuttosto a quello che può fare per i clienti per cui è stato creato. Non a ciò che è, ma a ciò che fa per loro.
Come nel Design Thinking, in cui si incastrano perfettamente, anche i Jobs to be Done sono cliente-centrici: stop al design prodotti con caratteristiche sempre nuove e migliorate e iniziamo a creare prodotti che siano più integrati nella customer experience, che diano valore alla vita dei clienti perché consentono loro di raggiungere un nuovo status migliorato (di avere un "job" finalmente "done").
Dopo l'adozione della teoria dei JTBD, trovare che i consumatori utilizzano un prodotto o un servizio per uno scopo diverso da quello ipotizzato inizialmente dal produttore è una situazione piuttosto frequente.
La teoria dei Jobs to be Done: un esempio e 4 principi
Riguardo a questo argomento, Alan Klement, di cui riparleremo più avanti, porta l'esempio della barretta "Snickers" come forse il primo caso conclamato di prodotto che svolge un "job" per i suoi utilizzatori.
Gli Snickers erano vissuti da tutti, sin dagli anni 30, più come vero cibo che come snack (vai a capire gli americani). Nel 1979 viene introdotta in comunicazione la tagline "packed with peanuts" (una cosa del tipo "confezionato con arachidi") allontanando di fatto l'idea del vero cibo e riportando i consumatori a considerare la barretta per come l'azienda Mars (il produttore) l'aveva sempre immaginata: come uno "snack". Questo semplice esempio ci porta ad affrontare 4 punti, 4 pilastri fondamentali della teoria dei Jobs to be Done:
- C'è spesso distanza tra quello che il produttore pensa sia il valore del proprio prodotto e le vere ragioni per cui i consumatori lo usano
- Il marketing e la comunicazione dovrebbero concentrarsi su quello che il prodotto fa e non su quello che il prodotto è (sul job, non sulle caratteristiche tecniche)
- Il design dei prodotti deve essere guidato dai criteri di scelta dei consumatori, non tanto dalle funzionalità che l'azienda vuole che abbia
- Il concetto di competizione non può essere relegato solo a prodotti con caratteristiche simili ma a tutto ciò che può tendenzialmente sostituire il prodotto (nel caso dello Snickers non solo altre barrette ma ad esempio un panino, frutta secca, la dieta)
Jobs to Be Done e Design Thinking: guidare l'innovazione di prodotto
Abbiamo visto come il Design Thinking crea innovazione. Ma come, adesso anche i JTBD guidano l'innovazione di prodotto? In realtà i Jobs to be Done partono proprio dal presupposto che ognuno di noi è sempre alla ricerca di un miglioramento della propria condizione per cui il concetto di innovazione è effettivamente uno dei pilastri della teoria. Inoltre per quanto mi riguarda i JTBD sono una naturale estensione del Design Thinking per cui è normale che entrambe queste teorie/metodologie abbiano fondamentalmente lo stesso obiettivo.
In che modo JTBD e Design Thinking si integrano l'un l'altro? I punti di contatto sono tanti in effetti, partendo dal fatto che la teoria dei JTBD non solo è citata da praticamente tutti gli autori di Design Thinking ma è anche parte integrante di alcuni suoi stumenti come la Customer Journey Map o il Value Proposition Canvas.
Ma cosa lega veramente queste due teorie? Direi, almeno, che entrambe:
- Sono focalizzate sulla Customer Experience
- Spostano l'accento da un approccio product-driven ad uno customer-centric
- Prevedono fasi di analisi, prototipazione e test per validare le ipotesi prima di andare in produzione
- Considerano un potenziale cliente come una persona nella sua complessità e non come un numero: Luca con i suoi dubbi, desideri, aspettative, emozioni e non Luca, maschio, 35-45 anni, laureato e imprenditore.
Prendiamo l'esempio di Luca, possessore di un cellulare: quali delle seguenti affermazioni spiega il fatto che Luca abbia uno smartphone in tasca?
- Ha bisogno di rimanere connesso quando è fuori ufficio
- Luca ha 43 anni, vive a Milano, guida un Range Rover, è sportivo, suona il pianoforte e gioca a Golf
Ok, l'esempio è chiaro no? Se potessimo spiegare tutto attraverso le carattersitiche socio-psico-demografiche non potremmo spiegare perché Luca ha un cellulare, suo padre ha lo stesso cellulare, suo nipote di 14 anni ha anche lui lo stesso cellulare. Evidentemente è un unico strumento che risolve diversi problemi a tutti nello stesso modo, problemi che vanno al di là dell'età, del genere, del livello culturale e, l'Italia ne è un esempio perfetto, della capacità di spesa.
Come OFG Advertising utilizza i Jobs to be Done e il Design Thinking
In OFG Advertising utilizziamo gli spunti della teoria dei Jobs to be Done principalmente per aiutare le aziende che lavorano con noi a comprendere meglio cosa il mondo esterno pensa dei loro prodotti o servizi. Non solo.
Sapere che è possibile, anche se difficile, astrarre delle regole che in un qualche modo guidino il comportamento delle buyer personas aiuta non solo a costruire dei prodotti che rispondano alle loro esigenze, ma anche a scrivere messaggi che siano efficaci.
Conoscere i clienti significa anche intercettare il search intent e ipotizzare le parole chiave utilizzate su Google in fase di ricerca delle informazioni: conoscere il search intent significa avere un vantaggio in termini SEO e far crescere di conseguenza un traffico qualificato ai nostri asset digitali.
La parola "qualificato", qui, è quella che fa la differenza tra un'audience generica e un pubblico composto per la maggior parte da potenziali clienti.
Ecco perché OFG Advertising ha costruito un percorso, che chiamiamo Discovery, all'interno del quale è previsto un importante capitolo dedicato all'approfondimento dei consumatori finali. Da qualche anno ormai non esiste progetto che non inizi con la Discovery. Quando si dice che la conoscenza è potere.
Per chiudere, ho letto qualche libro sui Jobs to be Done, trovo che il migliore sia quello di Alan Klement. Qui potete scaricare gratuitamente il suo libro "When coffee and kale compete".
Luca Bizzarri