Quando affrontiamo il tema della strategia di marketing, sembra naturale concentrarsi su numeri, KPI, tassi di conversione, impression e reach. Tuttavia, questo approccio rischia di perdere di vista un elemento fondamentale: le persone. Nel nostro ruolo come agenzia, vogliamo porre l’attenzione su un paradigma che riteniamo vincente: costruire strategie di marketing e comunicazione che mettano al centro il fattore umano.
La mole di dati disponibili è enorme: quotidianamente le persone generano dati, le aziende raccolgono metriche, le digital platform misurano engagement, click, sessioni. Tuttavia, questi dati da soli raccontano solo una parte del processo decisionale del consumatore. Spesso viene trascurata la dimensione emotiva, il contesto, la ragione profonda per cui una persona decide di acquistare, di cambiare brand, di fidarsi di un marchio.
Quando una strategia di marketing è centrata esclusivamente sui numeri, rischia di risultare fredda, distante, poco rilevante. Al contrario, una strategia che parte dall’essere umano, inteso come individuo con emozioni, esigenze, desideri, costruisce relazioni più durature, esperienze che risuonano, racconti che autenticamente coinvolgono. In questo sensibile equilibrio tra dati e emozioni, risiede la forza delle comunicazioni che funzionano realmente.
Nel nostro lavoro quotidiano come agenzia, osserviamo che le aziende che ottengono maggiore fedeltà e advocacy sono quelle che, oltre a misurare e analizzare, “guardano” le persone. Parlano con i clienti, ascoltano feedback, comprendono motivazioni meno evidenti, si costruiscono storie coerenti e credibili. Il marketing non è dunque solo fare arrivare un messaggio ma è essere rilevanti per una persona, in un momento, in un contesto preciso.
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Mettere l’audience al centro della strategia marketing
Una strategia di marketing efficace inizia dal destinatario, dall’audience, dalla persona che desidera essere raggiunta intesa non semplicemente come segmento demografico, ma come individuo con vissuti, contesti, bisogni. È la differenza tra il concetto di target e quello di buyer persona. Spesso, quando le aziende si concentrano solo sulle metriche, dimenticano di chiedersi “quale emozione guida la decisione?” oppure “che desiderio o paura è alla base di questa scelta?”.
I brand registrano grandi volumi di dati: secondo una stima dell’IDC, già nel 2020 sono stati creati e consumati oltre 59 zettabyte di dati e si prevede un aumento fino a 180 zettabyte entro fa fine di quest’anno. Questi numeri spettacolari mostrano solo la quantità ma non spiegano necessariamente la qualità o la rilevanza per ogni singolo individuo.
Quando una boutique che vende abiti da spota pensa a una sposa, può misurare visite, rimbalzi, tassi di conversione. Poi però la decisione finale della sposa può dipendere semplicemente da una sensazione, dal fatto che quell’abito “le parli”, “le trasmetta un’emozione”. Questo evidenzia che spesso le decisioni d’acquisto hanno radici emotive.
Per mettere davvero l’audience al centro si può iniziare con una ricerca qualitativa oltre la demografia, ascoltare i clienti, interpretare feedback, costruire mappe dei bisogni che vanno oltre il superficiale. Solo così il messaggio può risuonare autentico. In termini pratici, significa che l’agenzia (e il brand) non deve semplicemente “dire” qualcosa al pubblico, ma deve “parlare con” il pubblico: usare linguaggio, tono, simboli che siano riconoscibili, vicini, umani.
Bilanciare dati e intuizione nel marketing
Molte organizzazioni presentano due tendenze divergenti: da un lato, puntano fortemente sui dati, algoritmi, analisi predittive; dall’altro, alcune escludono quasi completamente l’elemento quantitativo per affidarsi solo all’intuizione. La strada che riteniamo più efficace è quella del bilanciamento: usare i dati come base, ma integrarla con insight umani. Troppo spesso i marketer dimenticano che dietro un numero c’è un essere umano.
Non si tratta di abbandonare fogli Excel e dashboard, anzi l’esatto opposto: si tratta di usare i dati per capire quali emozioni, quali comportamenti, quali motivazioni stanno “dietro” i numeri. Ad esempio, un brand che monitora che “x% degli utenti abbandona il carrello” può fermarsi ai numeri oppure può chiedersi come mai, se ci siano difficoltà oggettive o emotive che impediscono la conversione.
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Per rendere concreto questo approccio, si può pensare a interviste ad utenti, mappe empatiche, workshop con potenziali clienti, test qualitativi e quantitativi. In questo scenario, la creatività e l’intuizione giocano un ruolo centrale: il team può analizzare dati ma anche “sentire” la voce dell’audience, percepire le tendenze emergenti e mettere in atto un messaggio che non appare solo come data‑driven ma come umanamente rilevante.
Superare i numeri: emozione, narrazione e autenticità
Non basta monitorare la reach, i click, le visualizzazioni ma è necessario creare connessioni emotive. Le persone decidono anche (spesso direi) in base a emozioni quali speranza, fiducia, paura, ispirazione. La narrazione, lo storytelling, diventa quindi uno strumento potente: il brand non è solo un prodotto o servizio ma un messaggio che risuona, un’esperienza da vivere, un’identità da abbracciare. Personalizzazione, empatia e rilevanza sono fondamentali. Quando il marketing parla con sincerità, senza sembrare “vendita”, le persone percepiscono e partecipano.
Questo significa che ogni asset di comunicazione, ogno touchpoint come sito web, contenuto social, adv, email non deve solo promuovere ma raccontare. Deve rispondere alla domanda: in che modo questa brand experience migliora la vita dei miei clienti? Quale emozione attiva? Il messaggio deve essere coerente, autentico, rilevante.
Autenticità è un termine spesso evocato ma troppo poco praticato. Un brand che promette “cura” e poi non la dimostra con azioni concrete perde credibilità. La fiducia è la moneta del marketing umano. Per questo operiamo con i nostri clienti affinché i valori dichiarati trovino esecuzione reale, affinché la comunicazione rifletta l’essere e non solo l’apparire.
Collaborare con creator e influencer con approccio umano
Il mondo dei content creator e degli influencer è un esempio chiaro di come l’umanità possa vincere sulla mera promozione. Le persone seguono‑creators perché sentono vicinanza, fiducia, autenticità. Un creator è un brand a tutti gli effetti e di fatto esiste perché (come un marchio) è riuscito a costruire un rapporto di fiducia con i propri clienti (utenti,, follower in questo caso).
Per un’agenzia e un brand, questo significa rivedere il modo in cui si lavora con influencer: non come “canale promozionale” fine a sé stesso ma come voce sociale che può amplificare la cultura del brand, può parlare direttamente all’audience in modo personale. Le collaborazioni che funzionano sono quelle in cui il creator ama davvero il brand, lo vive, lo rappresenta.
In termini operativi significa: scegliere creator che siano in sintonia con la visione del brand, permettere loro libertà creativa (non vincolare troppo), tracciare metriche che vadano oltre i numeri puri (qualità del commento, sentiment, condivisione autentica). Qualità sopra quantità.
Quando una azienda lavora secondo questa direzione, la comunicazione diventa meno “broadcast” e più “dialogo”. Le persone partecipano, conversano, diventano parte della storia del brand. Come agenzia, incoraggiamo i clienti a prevedere budget e tempo per costruire queste relazioni, non solo per eseguire campagne.
Rivedere come misuriamo il successo della strategia marketing
Se la strategia è centrata sull’essere umano, naturalmente dobbiamo misurare anche in modo coerente. Non basta il numero di impressions o di click: dobbiamo guardare alla soddisfazione del cliente, alla percezione del brand, alla fideltà, al passaparola. Occorre espandere i KPI: includere indicatori qualitativi e conversazioni online, commenti, reputazione.
Questo può tradursi in strumenti come il monitoraggio sentiment social, interviste clienti post‑acquisto, analisi qualitativa delle recensioni, indicatori di advocacy (es: quanti clienti raccomanderebbero il brand). Questi dati “meno appariscenti” sono però spesso quelli che raccontano maggiormente se la strategia ha raggiunto il cuore delle persone.
In fase di reportistica con i clienti, è utile presentare non solo grafici di performance digitale, ma anche “voce del cliente”, casi‑studio, testimonianze. Raccontare come la persona ha vissuto l’interazione con il brand, che emozione ha percepito, se si è sentita ascoltata. Ciò rende la misurazione più completa e credibile.
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Esempi pratici di brand in Italia e internazionali che adottano un approccio umano
Ecco alcuni casi che dimostrano come l’essere umano al centro della strategia non sia solo un concetto, ma una reale applicazione nel mercato.
- Ring: con la promessa di sicurezza domestica, ha puntato sulla paura e sulla soluzione, mettendo al centro il bisogno umano di sentirsi protetti.
- Campari nelle sue campagne recenti ha lavorato molto sul racconto, sull’identità culturale, sull’esperienza condivisa
- Barilla che non comunica solo pasta, ma convivialità, famiglia, calore umano
- Uniqlo opera con una strategia globale ma locale, dove mette al centro l’uomo e il quotidiano, più che la mera moda veloce.
Questi esempi servono a illustrare che, indipendentemente dalla dimensione del brand, la leva dell’umanità funziona: quando le persone si sentono viste, comprese, coinvolte, diventano clienti e promotrici del brand.