Storytelling di vendita: perché le storie sono importanti

Storytelling perché le storie sono importanti

Lo storytelling, applicato anche alla vendita, può essere un modo per riuscire ad essere incisivi nella nostra comunicazione?

C'è un'esperienza che tutti abbiamo provato almeno una volta nella nostra vita: la difficoltà nel farci comprendere appieno, riuscire a lasciare un messaggio che rimanga impresso nella memoria di chi ci ascolta.

Ogni volta cerchiamo di raggiungere questo risultato pur sapendolo improbabile; vincere la superficiale disattenzione delle persone; riuscire nell'intento di far "arrivare" il nostro contenuto far si che possa essere realmente capito e trattenuto nella memoria. E quasi sempre non sarà così.

Questa frustrazione è ancora più forte nelle conversazioni di business, se non altro per l'importanza economica e di contesto che diamo alla relazione.

Eppure, è sempre difficile riuscire a far percepire l'importanza di quello che offriamo - più in generale di quello che vorremmo vendere - così come è altrettanto difficile riuscire ad affiancare le persone di vendita e insegnargli a presentare il proprio messaggio in modo efficace. 

Nella formazione, noi lo sperimentiamo con i percorsi di sales enablement e l'Academy di Outside the Box, è sempre difficile - ma prioritario - far passare il concetto del cambiamento di abitudine perché troppo spesso non se ne vede il motivo.

E quando le aziende si presentano da noi ci raccontano che uno dei problemi più comuni è il fatto che i commerciali hanno sempre fatto dei corsi di vendita ma che dopo 6 mesi dimenticano quasi tutto e ogni cosa torna alla vecchia maniera. 

È frustrante. 

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E allora, ormai più di 5 anni fa, abbiamo iniziato a usare il modello della narrazione per scoprire che quello che i buyer, i responsabili di azienda e i nostri discenti ricordano meglio sono proprio le storie.

Questo ci ha fatto pensare. E ci ha fatto diventare sistematici in questo approccio.

Ma perché le storie sono importanti?

C'è una ragione biologica alla base di questo concetto. Partiamo dal fatto che,  come esseri umani, quando veniamo a conoscenza di informazioni che il nostro cervello considera poco importanti, viene attivato un meccanismo mnemonico studiato da Hermann Ebbinghaus, psicologo tedesco, come la “curva dell’oblio”.   

Secondo le sperimentazioni di Ebbinghaus, la maggior parte delle informazioni immagazzinate dal cervello umano iniziano a svanire già dopo pochi minuti dalla prima fase di memorizzazione. Dopo venti minuti se ne perde quasi quasi la metà. Dopo un giorno, scendono al 30%. La curva di memoria si assottiglia poco a poco arrivando a circa un quarto di quanto appreso nel primo momento, per un periodo di quasi un mese.

Abbiamo osservato, poi, che i commerciali migliori, gli imprenditori di maggior successo e i professionisti più convincenti sono ottimi storyteller. Sanno raccontare storie.

E non solo, lo fanno in modo naturale e di frequente. Ma perché hanno così tanto successo? Cosa  succede in chi li ascolta?

Il successo delle storie è legato alle emozioni, si potrebbe dire. In realtà le ragioni sembrano essere più "complesse".

La neocorteccia, quella porzione di corteccia celebrale che rappresenta il 90% della superficie celebrale, è considerata la sede presunta delle funzioni di apprendimento, linguaggio e memoria, "ovvero delle peculiarità rappresentate dallo sviluppo genetico avvenuto nel corso dell'evoluzione animale." (Wikipedia).

Emozioni, memoria, i nostri sensi sono connessi a questa parte del nostro cervello. E concedendoci di semplificare (nessuna volontà di ambire a trattati di neurofisiologia), questa parte del nostro cervello rappresenta anche un organo di predizione basato su sequenze di memoria.

Segnali che provengono dal nostro corpo, dall'esterno percepiti dai sensi (vista, udito, tatto ecc) e che mettono la neocorteccia in condizione di predire dei pattern di comportamento che si ripetono, e se si ripetono, di apprenderli per anticiparli. 

È quello che ci capita quando ascoltiamo una canzone che già conosciamo o prendiamo una scala mobile, conosciamo le note o il comportamento fisico da tenere per restare in equilibrio e il nostro cervello le anticipa. 

Quando apprende una sequenza si verifica una predizione, un pattern già noto nel subconscio, il cervello tende a non prestare più attenzione. Questo equivale a dire che prestiamo attenzione quando non siamo più in grado di predire una situazione. 

Perché le storie sono memorabili

Ed ecco perché le storie sono molto efficaci: sappiamo da quando siamo bambini che le storie sono imprevedibili; che ci sarà un twist, un cambiamento inatteso; e prestiamo attenzione. 

In psicologia si chiama Weapon Effect: uno stimolo che ci muove emozioni forti ci fa abbandonare tutte le altre occupazioni e cattura tutta la nostra attenzione.

Infatti parole e immagini che ci colpiscono saranno impresse più profondamente nella memoria e più facilmente richiamate.

L'attenzione è il vantaggio che possiamo ottenere dalle storie. Un vantaggio enorme se paragoniamo questa considerazione alla ripetitività delle presentazioni aziendali, delle dimostrazioni di prodotto e al volume enorme di distrazioni - una su tutte gli smartphone - in cui siamo immersi ogni giorno.   

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