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Sponsorizzazioni e effetto alone: come misurare l’impatto sul brand

Sponsorizzazioni e effetto alone come misurare l’impatto sul brand

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Brand e sponsorizzazioni: valutiamo l’impatto

Quando parliamo di branding, spesso pensiamo a campagne creative o all’esperienza cliente. Raramente pensiamo che le sponsorhip facciano parte del pacchetto ma di fatto è così. Approfondiamo un po’ l’argomento, che spesso va in secondo piano ma che rimane un tema di branding importante. 

Nel mondo delle sponsorizzazioni, si tende a valutare l’efficacia di un’iniziativa attraverso numeri: quante persone l’hanno vista, quanta copertura mediatica ha generato, quanti click ha portato. Ma c’è un elemento altrettanto cruciale – spesso più profondo e duraturo – che sfugge alle metriche tradizionali: l’effetto alone. Si tratta di un meccanismo psicologico che può trasformare una semplice sponsorizzazione in un acceleratore di fiducia, empatia e propensione all’acquisto. Eppure, raramente le aziende si dotano di strumenti concreti per misurarlo.

L’effetto alone avviene quando la percezione positiva verso un’iniziativa si riflette sul brand che la supporta. Succede, ad esempio, quando una marca viene associata a un evento sportivo ispirazionale, a una causa sociale di valore o a un festival culturale di prestigio. Non è solo una questione di co-branding: è un trasferimento percettivo, dove le emozioni, i valori e i simboli dell’evento influenzano direttamente la reputazione del brand sponsor.

Proprio per offrire una lettura strategica di questo fenomeno, Gidyon Thompson ha proposto su Brandingmag un framework a matrice per misurare l’effetto alone. Si tratta di una griglia utile a classificare e valutare le sponsorizzazioni in base a due variabili fondamentali: la consapevolezza (awareness) del pubblico sull’esistenza della sponsorship e la goodwill, ovvero la benevolenza percepita nei confronti del brand. Vediamo meglio come funziona questa matrice e come integrarla in una strategia di comunicazione efficace.

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La matrice dell’effetto alone: struttura e origini

Il framework nasce da un’analisi condotta da Gidyon Thompson, esperto di brand strategy, che parte da una constatazione: le aziende non hanno strumenti operativi per misurare il valore reputazionale delle sponsorizzazioni. Per risolvere questo limite propone una matrice che incrocia due assi:

  • Asse orizzontale: awareness, ovvero quanto il pubblico è a conoscenza del fatto che il brand è sponsor dell’evento o dell’iniziativa.
  • Asse verticale: goodwill, la misura in cui il brand viene percepito positivamente come conseguenza della sponsorship.

Dall’incrocio di queste due variabili emergono quattro quadranti strategici:

  • Alta awareness e alta goodwill: Sponsorizzazioni ideali. Sono visibili e generano un impatto emotivo e reputazionale positivo. Un esempio potrebbe essere un brand che sponsorizza una campagna di inclusività molto sentita dal pubblico, comunicandola efficacemente su tutti i touchpoint.
  • Alta awareness e bassa goodwill: Sponsorizzazioni controproducenti. Il pubblico sa che il brand è coinvolto, ma la percezione è neutra o negativa. Accade spesso con operazioni percepite come opportunistiche.
  • Bassa awareness e alta goodwill: Sponsorizzazioni sottoutilizzate. Hanno un impatto positivo sui pochi che le notano, ma non riescono a scalare. Qui c’è margine per lavorare sulla comunicazione e amplificare l’effetto.
  • Bassa awareness e bassa goodwill: Sponsorizzazioni inefficaci. Né visibili, né significative. Sono spesso frutto di partnership scelte in modo poco strategico.

Questa matrice aiuta a spostare l’attenzione dal “quanto” al “come”: non basta esserci, bisogna esserci nel modo giusto.

Come misurare l’effetto alone nel marketing integrato

Per un’agenzia come OFG, che lavora su strategie omnicanale, la sponsorizzazione non è mai un atto isolato. L’effetto alone si genera e si amplifica solo se il messaggio è coerente lungo tutta la customer journey: spot TV, contenuti social, digital PR, campagne display, attivazioni sul territorio. Ogni touchpoint deve contribuire a rafforzare l’associazione positiva tra evento e brand.

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La misurazione, quindi, non può essere solo quantitativa. Occorre integrare:

  • Indicatori qualitativi, come le analisi semantiche sui social, la sentiment analysis e i focus group post-sponsorship.
  • KPI di impatto indiretto, come l’incremento nella brand preference o nella brand affinity.
  • Strumenti di attribution modelling, per comprendere quanto la sponsorship influisce sulle conversioni rispetto ad altri driver.

Questo approccio integrato è l’unico modo per attribuire valore reale a un’attività che, altrimenti, rischia di restare un costo.

Il ruolo delle emozioni nella percezione del brand

L’effetto alone nasce da un meccanismo emotivo. Il pubblico non si limita a razionalizzare un’associazione, la interiorizza. Se un brand è percepito come vicino a un’esperienza positiva – una finale sportiva, un concerto, una raccolta fondi – entra in risonanza con lo stato emotivo vissuto in quel contesto. Questo legame affettivo rafforza la fiducia e la memorabilità del brand.

Le neuroscienze e il behavioral marketing confermano che le decisioni d’acquisto sono profondamente influenzate da emozioni e bias cognitivi. L’effetto alone agisce proprio in questo spazio: non cambia solo quello che pensiamo di un brand, ma come lo sentiamo.

Come integrare le sponsorship in una strategia omnicanale

La sponsorizzazione efficace non si esaurisce nel logo su un palco. Deve essere un’esperienza narrata e vissuta, che accompagna il pubblico prima, durante e dopo l’evento. Ecco come può essere orchestrata:

  • Pre-evento: teaser, countdown, backstage condivisi sui social, coinvolgimento di influencer e community.
  • Durante l’evento: presenza fisica o digitale del brand, attivazioni esperienziali, campagne in real time.
  • Post-evento: content recap, storytelling sui risultati ottenuti, UGC, retargeting personalizzato.

L’effetto alone si costruisce con la coerenza e la continuità del messaggio. Un solo contenuto dissonante può annullarne l’impatto.

Quando l’effetto alone si trasforma in boomerang

Non tutte le sponsorizzazioni generano effetti positivi. Quando un brand si associa a un’iniziativa percepita come incoerente con i suoi valori, il rischio è quello di compromettere la reputazione. Alcuni esempi:

  • Sponsorizzazioni di eventi controversi o divisivi.
  • Presenze forzate, dove il brand appare fuori contesto.
  • Attivazioni percepite come puramente commerciali, senza impatto reale.

Il pubblico è sempre più sensibile alla coerenza e all’autenticità. Se percepisce una disconnessione tra ciò che un brand dice e ciò che fa, la sponsorship può ritorcersi contro.

Sponsorship e brand purpose: quando il messaggio fa la differenza

Le sponsorizzazioni più potenti sono quelle che traducono il purpose aziendale in azione concreta. Un brand che parla di sostenibilità e poi sponsorizza una maratona green coerente con i propri valori attiva un racconto autentico. Al contrario, il disallineamento tra sponsor e iniziativa mina la credibilità.

In questo senso, le sponsorship diventano leve narrative potentissime per raccontare chi è il brand, in cosa crede e che impatto vuole avere sul mondo.

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Esempi pratici di effetto alone: brand noti nel mercato italiano

Nel mercato italiano, diversi brand hanno capitalizzato l’effetto alone attraverso scelte strategiche:

  • Barilla con la sua partnership pluriennale con il tennis internazionale, ha costruito un posizionamento elegante, valoriale, vicino allo sport pulito e alla tradizione familiare.
  • Lavazza ha investito nell’arte contemporanea e nella cultura, associandosi a contesti raffinati e stimolanti che rafforzano il suo posizionamento premium.
  • Enel ha attivato numerose sponsorship legate all’innovazione e alla sostenibilità, coerenti con il suo percorso di transizione energetica.
  • Heineken, pur non essendo italiana, è un esempio significativo: la sua presenza nei grandi festival musicali e negli eventi UEFA è gestita con una narrazione esperienziale integrata che va ben oltre la visibilità.

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