Cosa c’è di sbagliato nel modo in cui pensiamo all’AI
Si sente spesso dire che l’intelligenza artificiale generativa sia la soluzione per risparmiare tempo. Scrive da sola, crea immagini, produce contenuti, analizza dati. In teoria basta un prompt ben fatto e il lavoro è finito. Peccato che, in pratica, non funzioni così.
Automatizzare un processo che non è ancora chiaro rallenta, non accelera. Usare uno strumento potente su una base fragile produce risultati fragili. E se nel marketing questo può voler dire campagne che non performano o contenuti inutili, nel branding le conseguenze si fanno ancora più sottili e pericolose: un’identità visiva incoerente, un tono di voce sballato, una brand image che cambia a ogni prompt.
L’idea che l’AI faccia risparmiare tempo è un mito perché parte da un errore di fondo: confonde la velocità di esecuzione con l’efficienza di sistema. Ma se il sistema non è costruito bene, ogni accelerazione finisce per moltiplicare i problemi. E il tempo che si pensava di guadagnare torna indietro sotto forma di revisioni, correzioni, training, errori, frustrazioni.
Per non parlare del fatto che bisogna pensare già con l’intelligenza artificiale in testa fin dall’inizio: immaginare un video che deve essere girato con uno shooting e un video che nasce direttamente dall’AI sono 2 cose completamente diverse.
Ci sono domande che ogni azienda dovrebbe porsi prima di “integrare l’AI”:
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- Abbiamo un’identità di brand abbastanza solida da reggere l’automazione?
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- I nostri processi sono abbastanza chiari da essere replicabili da una macchina?
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- Sappiamo cosa aspettarci, davvero, da uno strumento che produce ma non capisce?
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- Quanto controllo esiste sul processo generativo dell’AI?
A questo punto è utile mettere ordine.
Vediamo come fare per usare l’AI davvero in modo utile per il brand, senza farla diventare un boomerang.
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Cos’è l’AI generativa e perché promette di farti risparmiare tempo
L’AI generativa è quella categoria di strumenti capaci di creare output nuovi come testi, immagini, video, codice. OpenAI, Midjourney, Runway, Claude, Dall-E, Copilot sono solo alcuni dei nomi più noti.
Il motivo per cui sembrano far risparmiare tempo è semplice: producono in pochi secondi quello che, normalmente, richiederebbe ore di lavoro umano. Un copy, una presentazione, un’email, un’immagine. Il tutto partendo da una manciata di parole chiave.
E in molti casi è vero: l’AI taglia i tempi dell’output. Ma è solo una parte del quadro. Come vedremo, il tempo speso in input, revisione e allineamento può essere anche maggiore. E, soprattutto se il brand non è strutturato, la qualità del risultato rischia di essere incompatibile con la coerenza e la riconoscibilità che ogni azienda dovrebbe cercare.
I motivi per cui l’AI ti fa perdere tempo invece di fartelo guadagnare
L’illusione nasce da un punto di vista parziale: si guarda solo al tempo di “produzione” e non a tutto il resto.
1. Il tempo perso nel prompt engineering
Scrivere prompt efficaci è un lavoro di per sé. Perché se vuoi un output coerente, preciso e allineato al tuo brand, il prompt deve essere altrettanto chiaro, dettagliato, contestualizzato. Un prompt che funziona è quasi una mini strategia. Richiede tempo, attenzione e spesso iterazione. Per ogni minuto guadagnato sull’output, ce ne sono almeno due spesi nella definizione dell’input.
2. Il tempo perso a revisionare
Anche quando il prompt è perfetto, l’AI non capisce. Statisticamente indovina. E quello che genera è un’ipotesi plausibile, non una soluzione giusta. Succede spesso di dover correggere testi piatti, immagini incoerenti, claim che non funzionano. E ogni revisione è un ricalcolo. Si parte da capo. Il tempo vola via tra aggiustamenti e tentativi.
3. Il tempo perso a fare training interno
Per usare l’AI servono competenze. Ma soprattutto serve allineamento. Serve addestrare chi scrive prompt. Serve costruire una libreria condivisa di esempi. Serve documentare ciò che funziona. Serve una guida di stile. Tutte cose che, per essere create, richiedono tempo. E spesso le aziende si accorgono troppo tardi che manca una struttura di base.
4. Il tempo perso a correggere gli errori
L’AI sbaglia. Cita fonti inesistenti. Deforma dati. A volte inventa. E quando l’errore entra in una presentazione, in una campagna, in un contenuto pubblico, il danno è doppio: reputazione + tempo per correggere. Meglio pensarci prima.
Perché prima dell’AI serve un brand strutturato
Un brand strutturato è la condizione necessaria per usare l’AI in modo efficace. Non basta avere una visual identity carina o un tone of voice abbozzato. Servono regole solide, asset ordinati, riferimenti chiari, un sistema di regole e indicazioni per il tono di voce (Language Operative System) e la parte visiva (Visual Operative System).
Quando tutto è definito — valori, messaggi chiave, gerarchia visiva, microtone — allora l’AI diventa utile. Perché può partire da qualcosa di chiaro. E replicarlo. Ma se non hai niente di tutto questo, l’AI produce output casuali. E ogni contenuto che crei, invece di costruire la tua identità, la disperde.
Come preparare il brand all’uso dell’AI nei contenuti
1. Metti ordine negli asset
Raccogli logo, palette, font, griglie visive. Ma anche esempi di comunicazione fatta bene. Costruisci una libreria di contenuti già approvati, da usare come base. L’AI funziona bene quando ha qualcosa da cui imparare.
2. Scrivi una guida di stile
Serve una guida scritta che spieghi tono di voce, lessico, stile visivo, regole editoriali. Non basta “essere istituzionali ma amichevoli”. Serve chiarezza.
3. Definisci un sistema di approvazione
Chi controlla cosa? Quante revisioni? Qual è il livello accettabile di “errore”? L’AI non elimina il lavoro umano. Lo sposta. Serve un processo per gestirlo.
4. Identifica cosa può essere automatizzato
Non tutto va dato in pasto all’AI. Alcune attività creative richiedono ancora pensiero, visione, sensibilità. Altre — email di follow-up, descrizioni prodotto, adattamenti — possono essere delegate. Serve saper distinguere.
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Quando usare (bene) l’AI: casi utili e concreti
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- Adattare contenuti esistenti: trasformare un articolo in un post LinkedIn, o un reel in uno script per podcast.
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- Fare brainstorming: generare 20 headline da cui partire. Non per pubblicarle, ma per scegliere quella giusta.
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- Sintetizzare documenti: estrarre le parti chiave da un PDF o da un verbale di riunione.
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- Creare draft grezzi: primo livello di contenuto, da rivedere internamente.
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- Localizzare contenuti: adattare testi a diversi mercati, mantenendo il tono corretto.
- Produzione di contenuti: questa parte è un po’ più complessa, soprattutto quando parliamo di video bisogna tenere sotto controllo diversi fattori (luci, inquadrature, persone, ambienti, formato, scritte) che ancora non sono al 100% sotto controllo.