L’inizio di una riflessione: perché i brand non possono più “raccontare” la fiducia
Quando ho iniziato a lavorare nel marketing, uno degli insegnamenti più ricorrenti era che ogni brand deve “trasmettere fiducia”. Si parlava di tono di voce, di copy rassicurante, di customer care tempestivo. E per anni ho visto aziende spendere budget importanti per dire, in mille modi diversi, quanto fossero affidabili. Solo col tempo ho capito che il problema non era nel messaggio, ma nell’idea stessa di voler “comunicare” fiducia invece di costruirla.
La fiducia nel brand è una cosa seria. Non si conquista con una campagna, ma con una serie di scelte che un’azienda fa ogni giorno. Non è un claim, è una conseguenza. È un effetto collaterale positivo di un comportamento coerente, di un prodotto che mantiene le promesse, di una politica aziendale trasparente. E soprattutto, è qualcosa che le persone decidono di attribuirti, non puoi auto-proclamartela. Come in ogni relazione vera.
Mi è capitato spesso di partecipare a brief in cui il cliente chiedeva “una campagna sulla fiducia”. Un messaggio forte che rassicurasse il pubblico. E la mia risposta è sempre più netta, col tempo: “La fiducia non si dice. Si dimostra.” Se un brand deve rassicurare il pubblico su qualcosa, è segno che quella cosa non si è ancora vista nei fatti. E allora serve prima lavorare lì. Dietro le quinte. Nei processi, nei prodotti, nelle relazioni interne.
Pensaci: ti fidi di chi ti dice “puoi fidarti di me”? O di chi, senza proclami, agisce sempre con coerenza e rispetto? La risposta è evidente. E vale per le persone quanto per le marche.
Noi in OFG lavoriamo spesso con clienti che stanno vivendo una fase di riposizionamento di brand. In questi casi, il tema della fiducia emerge sempre, perché è centrale in qualunque strategia di branding o rebranding. E quello che proponiamo non è mai solo un intervento di comunicazione: è una revisione strutturale del modo in cui l’azienda parla, si muove e prende decisioni. Solo così si può pensare di creare una relazione di lungo periodo con il pubblico.
Questo articolo nasce proprio da questa riflessione: non serve “dire” di essere affidabili. Serve diventarlo davvero.
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Fiducia nel brand: una parola che va meritata
La fiducia non è una leva da inserire in una strategia di marketing, ma una metrica che misura l’efficacia delle scelte aziendali nel tempo. È il termometro con cui le persone valutano se quello che un brand promette corrisponde a ciò che poi realmente offre.
C’è una differenza sostanziale tra reputazione di brand e fiducia nel brand. La prima si può costruire anche con una buona narrazione. La seconda, invece, arriva solo dopo l’esperienza. È per questo che molti brand possono avere una buona immagine ma un basso livello di fedeltà. Perché la narrazione funziona solo fino a quando la realtà non la contraddice.
Un brand che sceglie di puntare sulla fiducia deve iniziare a ragionare in termini di coerenza. Tutto deve allinearsi: il prodotto, il customer service, il pricing, i valori dichiarati, le scelte di marketing, le prese di posizione pubbliche. Ogni punto di contatto con il pubblico è un momento in cui la fiducia può essere confermata o compromessa.
Come si costruisce fiducia: il ruolo della trasparenza e della coerenza
Ci sono due concetti fondamentali quando parliamo di fiducia nel brand: trasparenza e coerenza. La trasparenza riguarda il modo in cui l’azienda si racconta e condivide le proprie scelte, anche quelle difficili. La coerenza riguarda la distanza – o meglio, la vicinanza – tra ciò che si dice e ciò che si fa.
Essere trasparenti non significa raccontare tutto. Significa raccontare abbastanza da permettere alle persone di sentirsi coinvolte, rispettate, informate. Un’azienda che ammette un errore, che spiega una scelta impopolare, che rende pubblici i propri standard qualitativi o ambientali, costruisce fiducia proprio nella misura in cui espone il proprio processo decisionale.
La coerenza nella comunicazione è ancora più delicata. Perché non si può fingere. Se il tono della comunicazione è ironico ma poi il servizio clienti è freddo e burocratico, qualcosa si rompe. Se un brand parla di sostenibilità e poi produce con logiche di sfruttamento, quella promessa si autodistrugge. La coerenza è un processo quotidiano, fatto di piccole scelte. E il pubblico, oggi più che mai, ha gli strumenti per verificarle.
Perché i messaggi sulla fiducia non funzionano (se non sono supportati dai fatti)
Molti brand cercano scorciatoie: campagne di comunicazione emozionali, storytelling ispirazionali, testimonial credibili. Tutto questo può aiutare, ma non è mai sufficiente da solo. Un brand può anche realizzare lo spot più bello del mondo ma se il prodotto non mantiene le promesse o l’esperienza d’acquisto è deludente, tutto si sgonfia.
La pubblicità non può costruire fiducia se non è ancorata a qualcosa di reale. Al massimo può accelerare un processo già in corso. Può rafforzare una percezione positiva ma non può crearla dal nulla.
È il motivo per cui le migliori strategie di branding sono quelle che nascono dentro l’azienda, non fuori. Quando una marca è davvero centrata sui propri valori, sul proprio scopo, sulle proprie responsabilità, allora tutto ciò che comunica diventa più credibile. Perché non è storytelling, è storydoing.
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Brand che costruiscono fiducia davvero: alcuni esempi concreti
Patagonia è l’esempio più citato, ma non a caso. È un’azienda che ha costruito fiducia attraverso una coerenza straordinaria. Ogni decisione – dal marketing alla logistica – è coerente con l’impegno ambientale dichiarato. Il risultato? I clienti non solo comprano, ma diventano ambasciatori spontanei del brand.
Esselunga, in Italia, ha saputo mantenere una comunicazione misurata, centrata sulla qualità del servizio e sulla relazione con le persone. Non proclama sostenibilità a ogni occasione, ma lavora su logiche di efficienza, filiera controllata e attenzione al territorio che parlano da sole.
Barilla è un altro esempio di coerenza. Negli ultimi anni ha investito in comunicazione valoriale, ma sempre su basi concrete: controllo della filiera, sostenibilità ambientale, inclusività. Non tutte le campagne sono state perfette, ma il percorso è riconoscibile e progressivo.
IKEA, invece, ha saputo costruire fiducia su un mix di accessibilità, semplicità e impegno sociale. Lo fa con politiche di restituzione chiare, prezzi coerenti, campagne sociali ben radicate nei valori aziendali.
Tutti questi brand hanno una cosa in comune: la fiducia non l’hanno chiesta. Se la sono guadagnata.