Content distribution: cos'è, definizione e perché è importante

Content distribution cos'è, definizione e perché è importante

La Content Distribution, o distribuzione dei contenuti, è un processo che consente ai brand di diffondere i propri contenuti in modo mirato e efficace, raggiungendo il pubblico giusto al momento giusto. Un'adeguata strategia di distribuzione dei contenuti può fare la differenza nel successo di una campagna di marketing e nella visibilità di un brand.

Sono almeno due gli elementi chiave di una strategia di distribuzione dei contenuti efficace: avere obiettivi chiari e conoscere le proprie buyer personas. Solo comprendendo i loro interessi, le abitudini e le preferenze, possiamo pianificare una strategia di distribuzione mirata e ottenere i migliori risultati.

La Content Distribution è un elemento cruciale nel campo del marketing digitale. Quando la nostra Azienda intende dire qualcosa, creare contenuti interessanti è solo il primo passo: avere i contentui più belli del mondo e non riuscire a farli arrivare alla tua audience è forse peggio che non avere affatto contenuti.

Definizione di content distribution

Cosa significa distribuire contenuti

La distribuzione dei contenuti implica la diffusione di informazioni, articoli, immagini, video e altri tipi di contenuti attraverso vari canali e piattaforme online, con l'obiettivo di raggiungere un pubblico più vasto ma allo stesso tempo selezionato, in target con il nostro brand.

Perchè la content distribution è importante

La Content Distribution è fondamentale per aumentare la visibilità, attirare l’attenzione del pubblico e generare traffico verso i propri canali digitali. È essenziale per costruire un brand e stabilire un rapporto di fiducia con il pubblico.

Partiamo da una semplice osservazione; ognuno di noi è alla ricerca del contenuto perfetto per i propri utenti e vorrebbe che i propri sforzi di creazione fossero meno frustranti e più premiati. 

Che caratteristica deve avere il nostro contenuto per essere perfetto? Prendiamo come riferimento la definizione di Content Marketing su Wikipedia. La versione italiana non mi soddisfa: parlare di creazione di contenuto "pertinente" non è tutta la verità, ma solo una parte. Infatti non stiamo parlando solo di pertinenza, ma anche e soprattutto di "rilevanza": la versione inglese della stessa pagina cita:

"The idea central to content marketing is that a brand must give something valuable to get something valuable in return. Instead of the commercial, be the show. Instead of the banner ad, be the feature story."

C'est à dire, il marketing e la comunicazione sono cambiati parecchio dalle campagne televisive anni 80. Ok, ok questo lo sapevamo già, vero (e tra l'altro mi dispiace perché alcuni spot erano veramente belli).

Quel che forse non era ancora chiaro è che la rilevanza del nostro contenuto è solo la precondizione del successo di una content strategy (strategia di creazione e gestione dei contenuti): il vero fulcro del successo è la distribuzione del contenuto, cioè il piano con cui decidiamo di supportare il reach organico che da solo, ormai, sappiamo non essere sufficiente. Quasi sempre "content strategy" è così sinonimo di piano editoriale + content generation + sforzi creativi che si spera diventeranno virali.

Molte aziende spendono gran parte del proprio budget disponibile nel "pensiero" e troppo poco in quella che potremmo definire "azione", cioè la distribuzione.

Mi spiego meglio: avendo mezzi (quelli di Meta su tutti) una portata organica molto limitata, rischiamo di bruciare tutte le nostre energie nel produrre un contenuto che poi non vedrà nessuno, indipendentemente dalla sua efficacia e rilevanza.

Se aggiungiamo che ognuno di noi (attenzione, se siete deboli di cuore saltate le prossime righe) è già abbastanza occupato a vivere la propria vita e non è lì fermo davanti al PC ad aspettare che i suoi brand preferiti postino qualcosa, direi che il quadro è chiaro e completo.

Content generation senza la content distribution è come andare a fare un concerto allo stadio di Wembley a microfono spento: non ti ascolta nessuno, anche i pochi che vorrebbero farlo veramente.

Capiamo in quest'ottica quanto sia importante deviare una parte degli sforzi produttivi (di pensiero dicevamo) in azioni di distribuzione per far sì che il tuo contenuto finisca esattamente dove deve finire: in faccia ai tuoi utenti. Se poi il contenuto è pertinente e soprattutto rilevante, missione compiuta.

Content distribution e buyer personas

Parliamo di target, o meglio di buyer personas, e ci concentriamo sulla prima fase: studiare. Studiare come i nostri consumatori interagiscono con il nostro brand. Studiare se usano Social Media e quali. Studiare se si collegano via desktop o mobile. Studiare quali altri siti di informazione o contenuti frequentano. Studiare se sono attenti alle promozioni o a operazioni di loyalty. Insomma, prima di procedere oltre, facciamoci un'idea di chi sono e cosa fanno (digitalmente parlando).

I cosiddetti First Party Data, informazioni dirette che l'azienda ha a disposizione sui propri consumatori (che si contrappongono ai Third Party Data che invece sono DB che si possono acquistare, appunto, da terze parti) ci possono aiutare ad identificare:

  1. Quali sono i consumatori che interagiscono con il nostro Brand
  2. Quali sono i nostri potenziali clienti
  3. Quali sono i consumatori che sono quasi diventati clienti (abbandonando poi il carrello, per esempio)

Queste informazioni sulle buyer personas ci aiutano a definire quali possono essere i contenuti da produrre e quali i mezzi giusti per veicolarli. Questa analisi più profonda ha un altro indubbio vantaggio: scavare nel mondo dei nostri consumatori per comprenderli meglio ci porta a scardinare le solite logiche con cui l'Azienda considera il mercato per aprire nuove possibilità. Considerare la diversità ci porta ad escludere i modelli di analisi dei consumatori che conosciamo già evitandoci di reiterare le nostre solite strategie permettendoci di aprire la mente.

COS'È LA CONTENT DISTRIBUTION: CAPIRE IL NOSTRO TARGETProprio a questo proposito, consideriamo i nostri consumatori o i nostri follower con un elevato tasso di engagement. Ora pensiamo ad un ecosistema di consumatori/followers (quindi per una volta non centrato sul nostro Brand o sui nostri mezzi di comunicazione) che genera WOM tra gli amici e conoscenti che condividono gli stessi valori, interessi e status sociale dei nostri consumatori (possiamo avvalerci di strumenti come Facebook's Advertising tool o Google Customer Match per capire come i consumatori si comportano e quali sono i loro interessi). A questo punto se mixiamo tutte le informazioni in nostro possesso, dovremmo ottenere informazioni su tutti i gruppi dell'ecosistema qui evidenziato.

Per ritornare con i piedi per terra in definitiva quello che deve essere evidenziato è che:

  1. per ogni gruppo di persone esistono dei contenuti interessanti
  2. per ogni segmento di target esistono dei (social) media interessanti
  3. ogni segmento ha abitudini e modalità di reperimento delle informazioni pre-acqusito
  4. ogni gruppo di consumatori legge o partecipa a discussioni o topic per lui interessanti
  5. ognuno di noi ha dei brand che preferisce

Si tratta di trovare il giusto mix di ognuno di questo fattori e incastrarli in una strategia di social media marketing che abbia un senso.

Le diverse tipologie di media

Con un pensiero un po' più laterale, possiamo immaginare 3 macro categorie di media, per una volta non distinti in base al modo in cui sono fatti e ai messaggi che veicolano ma in base al rapporto che ognuno di loro ha con l'azienda o il brand. Mi spiego meglio.

Esistono 3 tipologie di media, distinti in base al fatto che siano acquistati, posseduti (proprietà o gestione dell'azienda) o guadagnati. Vediamo meglio.  

  1. I cosiddetti "owned media" in teoria sono i mezzi sui quali abbiamo maggior controllo e sui quali siamo in grado di gestire direttamente i nostri contenuti. In realtà al di fuori del nostro sito che ha una modalità "pull" (il nostro target ci viene a cercare), i social media hanno una modalità anche "push" (i nostri contenuti vengono presentati al target) ma quanto e come questo "push" funziona non è deciso da noi ma dagli algoritmi e regole di ogni social media. Questo, come abbiamo visto, è una cosa che incide parecchio sulla content strategy e deve essere tenuto sotto controllo. Poi c'è la newsletter che però ha solitamente un reach piuttosto basso e un ancora più scarso tasso di engagement.
  2. In una visione allargata degli "earned media" il concetto principale è quello di distribuire i nostri contenuti su media autorevoli per il nostro target o attraverso influencers che sappiano esaltarli e diffonderli alla nostra audience. In quest'ottica stiamo parlando anche di digital pr e ufficio stampa classico. Ancora una volta la conoscenza del target è fondamentale: sapere cosa legge, cosa ascolta, cosa vede, quali siti, blog o community frequenta e quant'altro ci possa aiutare a stilare una lista di media sui quali agire con azioni di seeding.
  3. Il terzo punto riguarda la distribuzione sui "paid media" che è forse l'aspetto più trascurato in una strategia di content marketing, se non altro perché è vissuto come un esborso di denaro sonante e non come un investimento. Quello che intendo dire è che si fanno tanti sforzi per generare contenuti rilevanti e farlo non è gratis: il rischio è di sottovalutare i costi delle risorse implicate nel processo di content management e focalizzarsi solo sui costi vivi da sostenere in fase di pianificazione. In verità il processo di creazione di contenuti non è gratis e non distribuirli in maniera corretta potrebbe portare al vero spreco di energie, risorse e, quindi, denaro.

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Content distribution e customer journey

È il momento della metafora sportiva.

Dopo anni di gavetta, abbiamo la nostra grande occasione: ci hanno finalmente messo ad allenare squadra "A" (decidete voi sport e colori della maglia). Campagna acquisti perfetta, tutti i campioni sono al loro posto e abbiamo delle vere e proprie star nei ruoli chiave. La squadra però non performa, esprimiamo un bel gioco, ma sotto porta o sotto canestro non siamo concreti.Occasioni sprecate una dietro l'altra. Perché?

Fuor di metafora, molte operazioni di marketing (non solo social) sono come la nostra squadra: sono piene di idee e talento, generano contenuti interessanti ed esprimono perfettamente la vicinanza del brand ai nostri utenti, tuttavia, la maggior parte di esse finisce per essere non vista o solo di passaggio. Tornando alla nostra metafora, la content production (creatività, piano editoriale, taglio editoriale, copywriting, art direction) è il nostro playmaker, il numero 10 che dispensa assist, ma il vero bomber, quello che segna, e porta gli obiettivi a compimento, è la content distribution.

Veniamo ai nostri media. Come sappiamo il Customer Journey è diventato molto complesso: possiamo considerarlo un vero e proprio viaggio tra media diversi. Un viaggio che non facciamo più da soli, ma:

  1. accompagnati dai brand fin dalle prime fasi
  2. in una giungla di prodotti molto simili tra loro e che, nella maggior parte dei casi, facciamo fatica a capire 
  3. con altri utenti che vogliono condividere la loro esperienza

Anche prima era così, ma oggi abbiamo i mezzi per poterlo raccontare e misurare meglio. Ogni giorno i touchpoints a disposizione crescono e cambiano: app nuove (o vecchie che vengono cancellate), cambio di smartphone, tablet; basta con iOS passo ad Android, Sky mi ha stancato passo a Netflix... In un panorama così variegato e cangiante, è fondamentale presidiare sia i media "di proprietà", sia quelli che ci siamo "guadagnati". 

A pagare, posta come precondizione una certa disponibilità di budget, sono capaci tutti i brand. Costruire relazioni su media posseduti già è più difficile e non è alla portata di ogni brand. Guadagnarsi commenti positivi su media altrui senza alcun tipo di sollecitazione è ancora più difficile.

Quindi tirando le fila di tutto quanto detto finora, dobbiamo essere in grado di gestire le relazioni tra queste 3 tipologie di media per creare un ecosistema che abbia un senso in termini di risultati e che garantisca all'utente un'esperienza avvolgente. In particolare per la content distribution, ovviamente, stiamo parlando di Paid Media.

2 metriche per i media: reach e dispersione

 essere sicuri di caricare le armi a nostra disposizione con proiettili che non sparino a salve ed essere sicuri di avere gli strumenti giusti per prendere bene la mira e sparare al cuore della nostra audience. Metafora un po' colorita (d'altro "target" significa proprio bersaglio), ma mi aiuta ad introdurre due altri concetti: reach e dispersione.

  1. Per "reach" intendiamo gli utenti unici che entrano in contatto con la nostra campagna (si differenzia dalle impression che invece contano più volte anche uno stesso utente)
  2. Per "dispersione" intendiamo un concetto poco riducibile a calcoli matematici che potremmo definire come la quantità di popolazione che non fa parte del nostro target, ma che entra comunque in contatto con la nostra campagna. Ora, se la dispersione è alta i casi sono due:
    • il rischio è calcolato, per cui decido di dare peso ad altri valori che la campagna può sottolineare (ad esempio decido per la televisione anche se il mio brand non è presente su tutto il territorio nazionale perché ho intenzione di aprire presto nuovi punti vendita in nuove zone oppure perché voglio dare prestigio al mio brand);
    • ho sbagliato a pianificare (analisi del target errata, strategia sbagliata, media non attinente al target etc).

In ambito di digital marketing e advertising, gli strumenti per evitare dispersione pur mantenendo un reach elevato ci sono. Le piattaforme di programmatic advertising che si appoggiano su DMP o Data Management Platforms sono in grado di leggere first party data e third party data, clusterizzare gli utenti secondo i propri comportamenti e quindi capire quando è il momento corretto di "sparare", mirando alle persone giuste. E ottimizzando il budget, che non è poco. Qui il nostro approfondimento sui big data.

Insomma, per riassumere in 2 frasi:

  1. pianificare senza sprechi di budget è sempre più possibile
  2. non pianificare per diffondere i propri contenuti è il vero spreco di budget

Content distribution: misurare i risultati

Alla fine del percorso su cos'è la content distribution, ovviamente, c'è la misurazione di tutto quello che abbiamo realizzato. Come detto più volte in questo blog la misurazione del risultato deve essere necessariamente parte integrante della strategia di marketing, perché solo misurando è possibile:

  1. valutare i risultati in base agli obiettivi ed eventualmente rivedere in corsa la bontà della propria strategia e tararla per ottenere risultati ancora migliori;
  2. giustificare le proprie decisioni al board;
  3. capire il ritorno sull'investimento (ROI) di ogni azione di marketing per approfondire quello che funziona e abbandonare o rivedere ciò che non ha dato i risultati attesi.

I risultati sono tali perché sono stati fissati degli obiettivi di marketing e obiettivi di comunicazione che devono essere posti al centro di ogni operazione di comunicazione: in una strategia di successo, gli obiettivi definiscono i risultati.

È bene capire subito quali possano essere le metriche da tenere d'occhio durante il corso dell'operazione per misurare e capire se stiamo facendo bene o meno. Semplificando, se ho improntato una strategia di video marketing, dovrò tenere sotto controllo visualizzazioni e condivisioni; se sto lanciando un'app mobile, sarà bene tenere d'occhio il numero di download e le interazioni che avvengono all'interno dell'app stessa. Per semplificare, a voi 4 macro-metriche (che dovrebbero aiutare a schiarirsi le idee) inerenti a:

  1. Mercato. Market reach, target e veicolazione, ovvero la quantità di persone potenzialmente in target che sono state raggiunte dalla nostra comunicazione o dal nostro prodotto.
  2. Conversazione. Sentiment, topics e influencers, ovvero quanto e quali persone parlano del messaggio che abbiamo veicolato o del nostro brand o del nostro prodotto.
  3. Acquisizione. Tassi di conversione, fatturati e traffico, ovvero quanto riusciamo a vendere o a generare traffico sul nostro sito (o affine).
  4. Coinvolgimento. Engagement, commenti e content management, ovvero quanto i nostri utenti partecipano alla vita del nostro prodotto.

Ognuno di questi punti appena elencati si allaccia ad una fase del customer journey e del relativo funnel legato al processo di acquisto: ricerca di informazioni, acquisto e post-vendita. Riuscire ad inserirli tutti all'interno del piano di misurazione dei risultati significa quindi avere sotto controllo tutto il processo di acquisto e capire quale sia, se c'è, l'anello debole della catena e agire di conseguenza per rafforzarlo. Ad esempio se pochi utenti passano all'acquisto o c'è una perdita di interesse ad un particolare stage del funnel significa che i contenuti che stiamo offrendo in quel frangente non sono allineati con quello che si aspettano i nostri clienti.

Luca Bizzarri