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“Semplice” non è “banale”: comunicare i brand con chiarezza

Semplice non è banale comunicare i brand con chiarezza

 

Nel branding, la semplicità è spesso fraintesa. Si pensa che comunicare in modo semplice significhi semplificare troppo perdendo ciò che rende un brand autentico e distintivo. In realtà, nel marketing strategico, la semplicità è un atto intenzionale: non è una scorciatoia, ma una forma di chiarezza che nasce da una profonda comprensione del valore di marca e del suo posizionamento competitivo. È in questo spazio che si costruisce una comunicazione capace di essere accessibile, ma mai banale.

Ogni brand si trova, prima o poi, a dover raccontare qualcosa di complesso. Un prodotto altamente tecnologico, un modello di business innovativo, un processo produttivo differenziante, una promessa di valore costruita su elementi poco noti al grande pubblico. In questi casi, la sfida per il marketing non è “semplificare tutto”, ma piuttosto trovare la chiave giusta per rendere la complessità leggibile. E questo si fa lavorando sul branding in modo chirurgico: si seleziona, si struttura e si comunica un messaggio che sia tanto chiaro quanto memorabile.

Una strategia di marca davvero efficace parte da qui: individuare quella differenza vera che rende il brand unico nel proprio mercato, trasformarla in racconto e comunicarla con parole semplici ma non banalizzanti. Quando si cede alla tentazione del “parlare facile” solo per essere immediati, si rischia di perdere proprio ciò che differenzia. È il caso di quei messaggi di marketing generici che popolano i siti di molte aziende tech, dove leggiamo frasi come “soluzioni innovative per un futuro migliore”: parole che potrebbero appartenere a chiunque, e che quindi non appartengono davvero a nessuno.

Il vero lavoro strategico sta nell’identificare cosa dire, come dirlo e a chi dirlo. Una strategia di comunicazione ben costruita parte sempre dall’ascolto del contesto: cosa dicono i competitor? Quali parole sono inflazionate? Quali messaggi non fanno più presa? E poi si concentra sul cuore del brand: quali sono le motivazioni autentiche? Qual è la tecnologia, il processo, la scelta, che cambia davvero le regole del gioco? Quando queste risposte sono chiare, è possibile costruire una narrazione semplice che non tradisce la complessità, ma la valorizza.

Di fatto, essere semplici è una scelta sofisticata. Richiede rigore. Richiede capacità di analisi. Richiede una visione chiara del ruolo del brand all’interno del proprio settore. E soprattutto, richiede il coraggio di esporsi: dire di meno, ma dire meglio. Una volta ho conosciuto un tizio che mi ha consegnato una presentazione e mi ha detto: scusa, non ho avuto abbastanza tempo per farla semplice.

Non si tratta di rendere tutto comprensibile a tutti ma di rendere comprensibile a chi conta ciò che davvero fa la differenza. Per questo, chi si occupa di branding oggi deve saper tradurre l’identità di marca in messaggi chiari, orientati al valore, capaci di emergere nel rumore. Questo è il compito del marketing: costruire significato, visione e riconoscibilità, senza mai cadere nella trappola del “dumbing down”.

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Perché “messaggio chiaro” non significa “banalità”

La convinzione che un messaggio semplice sia per forza semplificato fino alla perdita di valore è errata: comunicare in modo chiaro vuol dire offrire al pubblico un punto di ingresso concreto, senza distrazioni o gergo tecnico incomprensibile. Tuttavia, questo non implica che si debba rinunciare a raccontare ciò che rende unica la proposta. Quando si comunica un’innovazione, un processo tecnico o una soluzione poco familiare, l’obiettivo è far emergere cosa cambia per l’audience, perché quella differenza importa, e come il brand la integra nella sua promessa.

In molti casi le aziende alle prese con tecnologie complesse tendono a semplificare il messaggio fino a renderlo così generico che potrebbe andare bene per chiunque: «Produciamo soluzioni innovative che migliorano la vita». Frasi di questo tipo, oltre a non distinguersi, fanno perdere memoria e assomigliano troppo a ciò che fanno tutti. Il pericolo è che il pubblico non sappia davvero “perché” scegliere quel brand. Invece un messaggio semplice ma costruito con consapevolezza è forte: aiuta a costruire strutture di memoria, facilita l’attribuzione del messaggio al brand e mette al centro la percezione di differenza.

Come agenzia che aiuta brand a costruire la propria voce, ci troviamo spesso a riflettere su come tradurre la complessità tecnica in linguaggio quotidiano e rilevante. Non si tratta di cancellare la complessità, bensì di “incanalarla” in racconti che il target possa comprendere e ricordare. Se la tua soluzione è altamente innovativa, non davanti a un pubblico specialistico ma ad un’audience più ampia, magari finanziatori, stakeholder, utenti, la difficoltà diventa ancora maggiore: il rischio è che l’innovazione resti “dietro le quinte” e non venga mai davvero raccontata.

Ecco perché la “chiarezza” non è una rinuncia all’intelligenza del messaggio ma una scelta strategica: rendere accessibile ciò che è unico, senza ridurlo a “banale”. Un brand ben comunicato sa scegliere un dettaglio distintivo, evidenziarlo e collegarlo al valore per l’audience. In questo modo la semplicità diventa un asset, non un compromesso.

Analisi del contesto competitivo e rischio del “dumbing down”

Un passaggio fondamentale per comunicare con efficacia è osservare attentamente il contesto competitivo del proprio settore: quali sono i messaggi più ricorrenti, quali parole usano i competitor, quali formule sono diventate “banali” o “trite”. In questo modo è possibile evitare di cadere nel trappolone del messaggio generico. In effetti, un metodo rapido consiste nel copiare il copy di vari competitor, rimuovere i nomi dei brand e far leggere il risultato a qualcuno non esperto del settore: se tutto appare uguale, vuol dire che manca differenziazione.

Questo fenomeno è frequente nei settori della deep tech, della ricerca applicata, della biotecnologia: le aziende che provengono da spin‑off universitari o da laboratori scientifici tendono a comunicare con linguaggio tecnico o eccessivamente astratto oppure, per cercare di “semplificare”, finiscono per generalizzare troppo. Il risultato è un messaggio che non cattura né ha forza distintiva.

L’analisi competitiva ha dunque duplice funzione: evitare di assomigliare agli altri e identificare con chiarezza in quale spazio distintivo ci si vuole muovere. Quando l’intero settore suona simile, emergere richiede un segnale forte. Il brand deve comprendere cosa lo distingue e raccontarlo. Per farlo deve interrogarsi: “Quale differenza vera portiamo al pubblico?” e “Quale motivazione ci guida e quale bisogno soddisfiamo?”

In questo senso, semplificare non è tagliare fuori la complessità ma selezionare quella parte della complessità che parla al pubblico e che può essere raccontata in modo memorabile. È un’operazione che richiede rigore e riflessione: bisogna avere una visione strategica, non solo una comunicazione estetica.

Trovare la differenza e motivare il racconto del brand

Una volta analizzato il contesto e compreso cosa fanno i competitor, il passo successivo è diventare “investigatori” del proprio brand e del proprio prodotto: scavare nella motivazione, nel processo, nella tecnologia o nella proposta di valore e individuare quella “miccia” narrativa che può generare attenzione. Come dice l’articolo a cui facciamo riferimento: non importa che quella differenza sia la parte critico‑tecnica, ma che sia “la base di una storia interessante”.

Questa fase si traduce in queste attività: mappare ciò che fa la tecnologia/prodotto, comprendere perché lo fa, capire come lo fa e cosa cambia per l’utente, identificare quali elementi sono già scontati nel settore, e quindi non servono a differenziare, e quali invece sono poco valorizzati ma rilevanti. Una volta fatte queste riflessioni, si può costruire una formulazione narrativa che colleghi questi elementi e risponda al “so what?” del target.

Nel nostro lavoro di agenzia, suggeriamo sempre di evitare affermazioni vaghe come “soluzioni innovative per un mondo migliore” e preferire formule che siano concise, autentiche e orientate all’effetto sull’utente o stakeholder. Per esempio, se la tecnologia riduce i tempi di inattività del 60 %, o consente di monitorare parametri prima impossibili, occorre tradurre questo in narrazione: “riduce tempi morti”, “consente decisioni in tempo reale”, “apre nuove possibilità”. E poi collegare al brand. Il risultato è un messaggio potente, semplice nell’esposizione ma che si regge su una differenza reale.

Drammatizzare la differenza: narrazione semplice ma incisiva

Il passo finale consiste nello storytelling, nel “dare vita” al racconto: non solo riportare la differenza, ma renderla visibile, tangibile, memorabile. L’uso del verbo “drammatizzare” usato nell’articolo significa che il brand deve illustrare come l’audience vedrà concretamente il cambiamento, che scenario si aprirà, che impatto avrà.

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Questo non significa inventare una storia romanzata o irreale ma sfruttare il dettaglio vero per costruire una scena di uso o un confronto che l’audience possa intuire. Per esempio, se un’azienda sta costruendo un computer quantistico in scala, invece di parlare solo di “tecnologia di nuova generazione”, potrebbe dire: “Costruiremo il primo computer quantistico utile”, come nel caso del brand PsiQuantum.

Questo tipo di messaggio ha tre caratteristiche: è semplice (sei parole), è concreto (parla di “computer utile”) e crea interrogativo (“se nessuno l’ha fatto, perché loro sì?”). Nella comunicazione di brand complessi, questo è esattamente l’obiettivo: sintetizzare il messaggio attorno al valore per l’audience e alla distinzione del brand, senza nascondere la complessità, ma rendendola intuitiva.

Dal punto di vista operativo, per costruire questa comunicazione consigliamo di mantenere coerenza tra le componenti: linguaggio (lessico adatto al target), tono (non troppo tecnico se il target è generalista), visual (immagini che suggeriscano la differenza), struttura narrativa (problema → differenza → impatto). Quando questi elementi funzionano in sinergia, il messaggio risulta semplice da comprendere, forte nella memoria e distintivo nel panorama del settore.

Esempi pratici di brand che comunicano complessità con semplicità

Ecco alcuni brand attivi in Italia o con forte presenza italiana che illustrano bene come si può comunicare tecnologia, differenza e valore con chiarezza senza banalità.

Tesla – Sebbene sia principalmente conosciuta per le auto elettriche, Tesla ha saputo comunicare una prospettiva di mobilità che va oltre la semplice “auto elettrica”. Il messaggio si basa su “energia sostenibile + performance + design” ma tradotti in frasi concrete: “accelerazione da 0 a 100 in x secondi”, “autonomia di xxx km”, “infrastruttura ricarica”. Non banalizza la tecnologia, ma la rende attraente e comprensibile.

Dyson – Nella categoria degli elettrodomestici, Dyson ha puntato su una narrativa che lega design ingegneristico + prestazioni elevate + estetica distintiva. Il messaggio non è “aspirapolvere”, ma “tecnologia al servizio della pulizia”. Messaggi semplici, ma costruiti sul dettaglio tecnico: ad esempio, motore digitale, ciclone, efficienza filtrazione.

Enel X – In ambito energetico in Italia, Enel X sceglie di comunicare soluzioni integrate per la mobilità, l’efficienza energetica e le città intelligenti. Il linguaggio evita termini troppo specialistici e propone frasi che indicano cambiamento concreto: “smart charging”, “soluzioni integrate per la città”. Anche se il prodotto è complesso – infrastrutture, software, hardware – il messaggio è orientato al beneficio e alla facilità di adozione.

Spotify – Nel settore digitale, Spotify illustra bene come prendere un concetto semplice (ascoltare musica online) e arricchirlo con differenze reali (playlist personalizzate, algoritmi, scoperta). Il messaggio è chiaro, l’innovazione è percepita e non nascosta, e la comunicazione è accessibile pur sostenendo un ecosistema tecnico non banale.

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