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Tono di voce del brand: come definirlo, usarlo e mantenerlo nel tempo

tono di voce del brand come definirlo, usarlo e mantenerlo nel tempo

 

Trovare il tono di voce giusto per un brand significa molto più che scegliere parole ad effetto o costruire frasi accattivanti. Quando si misura il successo di una comunicazione, non conta tanto chi parla più forte, quanto chi sa dire le cose veramente bene. Questo percorso di definizione del tono di voce, della struttura di scrittura e del messaggio è ciò che distingue i brand capaci di lasciare un segno da quelli destinati a dissolversi rapidamente nella massa.

Come sappiamo, le aziende comunicano su infiniti canali — social network, e‑mail, campagne digitali, siti web, app, video, comunicazione interna, responsabilità sociale, interazioni con stakeholder. Dal momento che ogni parola conta e incide su esperienza cliente e brand positioning, anche la più piccola interazione deve essere calibrata per trasmettere coerenza e valore. Se manca un piano chiaro su come e cosa comunicare, si rischia di disperdere energia creativa, creare incoerenze o, peggio, diventare irrilevanti.

Per questo motivo, ultimamente molti rebranding includono la strategia del tono di voce (Tone of Voice, TOV) come elemento centrale e nascono ruoli dedicati alla tutela di questa voce, oltre a riconoscimenti specifici per la scrittura di brand. Il valore di un copy consapevole, empatico e ben studiato, emerge più forte che mai.

Definire una voce di marca potente non è solo creatività: è strategia. Solo dopo aver definito un punto di vista autentico e distintivo possiamo dare inizio al lavoro creativo con reale valore. Una voce che si distingue per il modo unico di guardare il mercato, di interpretare le proprie offerte, di parlare alle persone. È da questo che nasce l’autenticità.

Questo tipo di approccio non è solo tecnico ma anche umano. Parte da un ascolto profondo, senso del contesto, scelta consapevole delle parole. Richiede disciplina, regolarità e un fondamentale rispetto verso le persone che ci leggono o ci incontrano, online e offline. Se il brand coltiva questa disciplina, il messaggio non sarà solo ben detto: sarà memorabile e duraturo.

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Analisi del pubblico audience

Ogni voce autentica nasce da un ascolto attento. Non si può decidere come parlare se prima non si è capito a chi ci si sta rivolgendo. L’analisi del pubblico non si limita a identificare target e buyer personas come in un documento strategico standard ma deve scendere molto più in profondità.

È necessario farsi dimande. Quali sono i valori condivisi da questo pubblico? Quali sono i codici comunicativi che riconoscono come autentici? Cosa li infastidisce, cosa li diverte, cosa li emoziona? Qual è il loro livello di attenzione e cosa stimola la loro curiosità? E soprattutto: in quale contesto culturale e sociale vivono queste persone?

L’errore che molti brand commettono è quello di parlare a un pubblico astratto, teorico, formato da etichette di marketing più che da persone vere. Ne risulta una comunicazione piatta, generalista, senza presa. Per evitarlo, occorre osservare il comportamento del proprio pubblico in ambienti reali: commenti sui social, recensioni, community, contenuti generati dagli utenti. In queste tracce si trova il linguaggio vivo, reale, organico con cui le persone si relazionano fra loro e con i brand.

L’analisi non è solo quantitativa. Le statistiche servono ma senza uno sguardo qualitativo mancano le sfumature. Un’analisi efficace si costruisce attraverso osservazione, interviste, ascolto attivo e studio delle conversazioni. Serve anche il coraggio di abbandonare i preconcetti: non sempre il pubblico risponde come ci aspettiamo. Ma proprio in questo scarto si trova l’opportunità creativa più interessante. Chi padroneggia questa fase si costruisce una base solida per una voce distintiva, capace di essere complice e riconoscibile per il proprio pubblico.

Definire un punto di vista distintivo

Abbiamo capito che il tono di voce non è solo un esercizio stilistico ma è l’espressione di una visione. Per questo, prima ancora di scrivere, occorre sapere cosa si ha da dire, con che sguardo si guarda al mondo, quali idee guidano il modo in cui si interpretano il proprio ruolo e la propria offerta.

Un brand senza punto di vista comunica in modo neutro, generico, spesso intercambiabile con altri. Magari curato, magari visivamente coerente ma comunque privo di sostanza. È la differenza tra parlare e dire qualcosa. Una voce di marca forte è il frutto di una posizione chiara, di un’interpretazione del proprio settore, di un sistema di valori ben articolato.

Questo punto di vista deve emergere in modo implicito, non attraverso dichiarazioni di intenti ma nella scelta delle parole, nel modo di descrivere i prodotti, nel modo in cui si risponde alle obiezioni, nelle metafore utilizzate, nei riferimenti culturali, nei toni emotivi. È una direzione sottile ma riconoscibile, che orienta tutto il tono di brand.

Anche qui, però, serve rigore: il punto di vista deve essere autentico, non forzato. Non si tratta di costruire un’identità a tavolino per differenziarsi a tutti i costi ma di far emergere ciò che è realmente distintivo nel brand, nella sua cultura interna, nelle persone che lo animano.

Quando il punto di vista è chiaro, diventa una bussola. Permette di decidere con coerenza anche in contesti nuovi: un tono ironico potrà diventare più sobrio in una crisi ma resterà coerente con l’identità di fondo. E questa coerenza è ciò che costruisce fiducia nel tempo.

Costruire una persona come ancoraggio del tono di voce

Tradurre un brand in una “persona” è uno dei metodi più efficaci per costruire una voce coerente e longeva. È un esercizio che funziona perché costringe il team a uscire dall’astrazione e a concretizzare il tono in qualcosa di comprensibile, anche per chi non si occupa di comunicazione.

Chi sarebbe il tuo brand, se fosse una persona? Che età avrebbe? Come si vestirebbe? Come parlerebbe con un amico? Che tipo di ironia userebbe? Sarebbe schietto o riflessivo? Entusiasta o posato? Autorevole o empatico?

Rispondere a queste domande permette di stabilire coordinate chiare per la scrittura e per ogni forma di comunicazione. Aiuta anche a evitare il pericolo più grande: quello di avere una voce diversa a seconda del canale o del copywriter di turno. Quando la voce è legata a una “persona” riconoscibile, le variazioni stilistiche non intaccano la coerenza profonda.

Per costruire questa persona si può partire dagli archetipi di brand (esploratore, saggio, ribelle, caregiver…) oppure prendere spunto da personaggi di film, letteratura, cultura pop. Qualunque ispirazione funzioni, va bene l’importante è che la rappresentazione sia viva, precisa, ricca di sfumature e coerente con la visione che abbiamo.

Alcuni brand creano veri e propri documenti di “character design” del tono di voce, con biografia, stile di conversazione, parole chiave da usare o evitare. Non è un esercizio fine a sé stesso: questi strumenti diventano fondamentali per formare nuovi collaboratori, per orientare agenzie esterne, per scrivere in modo efficace anche in situazioni inaspettate.

Trarre ispirazione dal contesto culturale

Una voce efficace non vive nel vuoto. È immersa in un contesto culturale fatto di linguaggi, estetiche, riferimenti, conversazioni. Trovare una voce originale significa anche saper ascoltare e assorbire ciò che accade intorno.

Molti brand cercano ispirazione nei linguaggi pubblicitari, nelle campagne di successo, nei trend digitali. È utile ma non basta. Il rischio è quello di rifare ciò che è già stato fatto, magari con qualche variazione superficiale. Il vero salto avviene quando si esce dal perimetro del branding e si entra in territori più ampi: letteratura, teatro, canzoni, serie tv, fumetti, poesia, performance, meme, linguaggi underground, slang di community digitali.

È lì che si trovano strutture narrative inedite, formule espressive potenti, toni di voce che sfuggono alle convenzioni. E spesso è da lì che si origina anche il linguaggio di domani. I brand più attenti sanno cogliere queste influenze e rielaborarle, senza copiarle, per dare sostanza alla propria voce.

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Ma c’è anche un altro aspetto: i codici culturali non sono neutri. Portano con sé significati, valori, aspettative. Chi scrive per un brand deve tenerne conto. Un termine può essere divertente per un pubblico ma offensivo per un altro. Una metafora può essere evocativa in un contesto ma ridicola in un altro. L’aderenza culturale è una forma di rispetto, oltre che una scelta strategica.

Saper leggere il proprio tempo e saperlo reinterpretare attraverso una voce unica è uno degli atti più sofisticati nella costruzione della brand identity.

Regole per mantenere coerenza nel tempo

Una voce autentica è fatta anche di disciplina. Avere una buona intuizione iniziale non basta: serve un sistema per mantenere quella voce coerente nel tempo, attraverso persone, team, campagne, agenzie, mercati.

Le brand guidelines devono contenere una sezione interamente dedicata al tono di voce. Ma da sole non bastano. Troppo spesso le linee guida sono documenti dimenticati o poco operativi. Per essere realmente utili, devono essere accessibili, aggiornate, vive. Occorre prevedere strumenti pratici come cheat sheet con esempi concreti, glossari con parole da usare o evitare, modelli di headline, frasi di apertura e chiusura, format per email, caption, messaggi di errore.

È altrettanto utile inserire un processo regolare di revisione: audit linguistici, verifiche di coerenza tra canali, formazione continua per chi scrive, confronti fra team. Solo così il tono di voce non si annacqua nel tempo.

Importante anche non cadere nella trappola dell’adattamento eccessivo. È corretto variare registro tra un post Instagram e una lettera al cliente ma l’anima della voce deve restare riconoscibile. Non bisogna imitare il linguaggio del pubblico solo per “essere simpatici”. L’effetto boomerang è sempre dietro l’angolo.

I brand migliori riescono a essere coerenti pur evolvendosi, come fanno le persone. Mantengono il loro carattere ma trovano modi sempre nuovi per esprimersi. Questa flessibilità strutturata è la chiave per rimanere rilevanti.

Come far evolvere il tono di voce del brand (senza perdere coerenza)

Quindi una voce di marca, per quanto ben definita, non è qualcosa di statico. Proprio come le persone e le organizzazioni, anche i brand cambiano nel tempo. E con loro cambia il contesto, cambiano i bisogni delle persone, cambiano le aspettative del pubblico. Per questo motivo un tono di voce efficace deve saper evolvere senza perdere la propria identità. Non è semplice: da un lato c’è il rischio di restare fermi, ancorati a un tono che non parla più a nessuno; dall’altro c’è la tentazione di inseguire ogni trend, snaturando la coerenza costruita con fatica. Il lavoro sta nell’equilibrio. È un adattamento consapevole, mai un rinnovamento a caso.

Un caso evidente è quello dei momenti critici: comunicazioni di crisi, posizioni pubbliche delicate, comunicati legati a eventi esterni, errori aziendali ma anche semplicemente cambiamenti di governance o passaggi generazionali. In tutti questi casi, il tono di voce non può rimanere identico a quello delle campagne promozionali o dei post social. Deve assumere un tono più sobrio, a volte istituzionale, senza mai diventare impersonale.

Attenzione perché il pubblico ha una grande sensibilità per le dissonanze. Se il brand è sempre stato informale e brillante e improvvisamente diventa freddo e burocratico, la reazione non sarà neutra: sembrerà una forzatura, o peggio, una fuga di responsabilità. Al contrario, se anche in un momento difficile riesce a mantenere umanità, chiarezza e coerenza, la credibilità del brand ne esce rafforzata.

L’evoluzione può anche essere graduale e strategica. Accade spesso nei processi di rebranding, nei passaggi a nuovi mercati o nell’ingresso in segmenti di pubblico differenti. In questi casi è utile pensare alla voce del brand come a una personalità che matura. Magari mantiene la sua ironia ma acquisisce maggiore profondità. O resta tecnica ma diventa più calda e accessibile. L’importante è che ogni cambiamento sia guidato da una strategia e da un ascolto del contesto.

Per agevolare questi passaggi, molte aziende oggi fanno uso di strumenti flessibili come versioni “tonali” del proprio stile — ad esempio, tono standard, tono per le crisi, tono per campagne istituzionali, tono per employer branding. Tutti coerenti tra loro ma con sfumature adatte alle diverse situazioni. Non si tratta di maschere diverse ma di variazioni sullo stesso carattere.

Un altro strumento utile è il test progressivo: cambiare alcuni aspetti del tono in un canale o in una tipologia di contenuto, osservare le reazioni, valutare se l’identità resta riconoscibile. Questo approccio permette di evitare salti troppo bruschi e mantenere continuità nell’esperienza del brand. Chi riesce a gestire l’evoluzione del tono con lucidità costruisce una reputazione solida. Perché mostra che dietro le parole c’è un’identità viva, non una finzione. E questo vale ancora di più nei momenti difficili, quando la voce del brand non deve solo comunicare: deve sostenere, chiarire, proteggere e, se serve, assumersi le proprie responsabilità.

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Esempio pratico: Netflix Italia e l’uso dei codici culturali esterni al marketing

Contesto. Netflix, in particolare nella sua comunicazione italiana, è uno dei brand che ha saputo costruire un tono di voce fortemente riconoscibile, senza limitarsi a rifare il linguaggio delle campagne pubblicitarie o delle promozioni classiche. La svolta è avvenuta quando ha iniziato a comunicare come un utente reale, attingendo non solo al proprio catalogo, ma anche ai modi di dire, meme e citazioni pop che circolavano tra gli utenti stessi, spesso provenienti da serie TV, ma rielaborati con ironia e creatività.

Ispirazione culturale. La voce social di Netflix Italia si è nutrita di:

  • memi e linguaggio da Twitter/X, con quel tono da “shitpost colto” che fa parte di community giovani e ironiche;
  • citazioni tratte da serie culto (non solo Netflix), usate come riferimenti culturali condivisi, quasi alla stregua di proverbi moderni;
  • slang da fandom, mutuato dai commenti e dai thread dei fan;
  • strutture narrative prese dalla stand-up comedy e dall’umorismo di sketch online;
  • toni e sintassi da TikTok, che si fanno sempre più “visivi” anche quando usati in formato testuale (es. uso consapevole di pause, all caps, intercalari visivi).

Risultato. Questa voce, costruita con elementi esterni al mondo del marketing, ha creato una relazione autentica con il pubblico, diventando essa stessa un riferimento culturale. Non era una semplice promozione: era partecipazione.

Perché funziona. Netflix non ha semplicemente copiato il linguaggio dei suoi utenti o degli altri brand. Ha preso strutture espressive reali, vive, già presenti nel contesto culturale, e le ha reinterpretate in chiave editoriale, con coerenza. Il brand è diventato un “personaggio” riconoscibile e ironico, che parla come un amico intelligente, non come un ufficio marketing.

Cosa insegna questo esempio. Questo approccio permette di generare voce, non solo messaggi:

  • uscire dai codici del branding non vuol dire improvvisare, ma espandere il proprio campo visivo
  • le migliori ispirazioni non arrivano dai competitor, ma dai codici culturali condivisi che vivono fuori dalla pubblicità
  • usare elementi di cultura pop, letteraria o digitale richiede rispetto e intelligenza: non si copia, si rielabora.

 

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