User experience: definizione, perché è così importante ed esempi

User experience: definizione, perché è così importante ed esempi

User Experience (o UX) è quell'esperienza olistica, che include aspetti razionali ed emotivi del comportamento umano, cui un utente si sottopone quando prova un prodotto, un servizio, un sito o un'app mobile. 

L'esperienza utente riguarda tutti noi e sta diventando un fattore differenziante per i brand che hanno capito la sua importanza. Ad oggi, in ogni momento, noi siamo clienti, utenti, utilizzatori di qualcosa. Entriamo in contatto con decine di marchi ogni giorno, siamo esposti (anche senza accorgerci) a centinaia di messaggi pubblicitari, visitiamo un numero imprecisato di siti web, raccogliamo informazioni su internet: in questo mondo di sovraesposizione mediatica, ogni brand deve cercare di emergere. 

Ovviamente ogni brand che si rispetti ha il suo ecosistema di comunicazione entro cui si è costruita tutti i touchpoint necessari a massimizzare il contatto con i propri consumatori e quindi le opportunità di acquisto. Ma come fare ad andare oltre? Come fare a non sprecare queste occasioni e stabilire un rapporto con i clienti o possibili tali? 

Quindi "gridare" più forte dei propri competitor non è più sufficiente: noi clienti siamo sempre più esigenti e abbiamo sempre in tasca uno strumento, il cellulare, che ci consente non solo di essere sempre connessi ma di interagire costantemente con il mondo. In questo scenario si colloca la User Experience, un qualcosa che i brand che hanno avuto più successo negli ultimi anni, per emergere dal mare della mediocrità, hanno dovuto costruire per stabilire un rapporto con i propri clienti e fidelizzarli garantendo loro una vera esperienza di acquisto.

La differenziazione dalla concorrenza non è sempre una cosa scontata e semplice da ottenere e si può ottenere su almeno 3 livelli: brand, prodotto, servizio. Per lavorare sul brand occorre una grande costanza e un grande budget: si lavora sull'identità di marca, sul ricordo, sull'awareness e si investe molto sul marchio su mezzi solitamente molto rilevanti per audience. Per lavorare sul prodotto si deve avere una grande idea e/o un grande budget: trovare un prodotto che costi poco e che sia difficilmente replicabile dalla concorrenza è solitamente un'operazione difficile e per costruire un prodotto unico solitamente è necessario investire parecchio tempo e denaro nella sua realizzazione. Oggi tuttavia siamo qui a parlare di cosa vuol dire differenziarsi sul servizio, per il quale è comunque necessario un bell'investimento.

User experience: definizione

Prima di cominciare, 2 concetti fondamentali. User experience:

  1. è un scienza che studia l'uomo e i suoi comportamenti
  2. è dipendente dalla tecnologia solo nella misura in cui questa la rende possibile.

Ora la definizione. La User Experience, o UX, rappresenta un elemento cruciale nel mondo del web design e della digital marketing ed è l'insieme di emozioni, sensazioni e percezioni che un utente sperimenta quando interagisce con un sito web o un'applicazione. In altre parole, è il modo in cui un utente percepisce e giudica l'usabilità, l'accessibilità e l'efficacia di un sito o di un'app. Una buona UX è essenziale per coinvolgere gli utenti, mantenerli sul sito e convertirli in clienti o lettori affezionati.

User Experience è un concetto che va oltre la semplice interfaccia di un sito web o un'applicazione. Esso abbraccia l'intero viaggio digitale dell'utente, dalla scoperta iniziale alla conversione e alla fedeltà del cliente. Non è un caso che UX sia diventato un termine chiave nel mondo del design e del digital marketing; esso rappresenta l'esperienza complessiva e le emozioni suscitate nell'utente quando interagisce con un prodotto o un servizio online.

L'Importanza della User Experience

La UX è centrale perché influisce direttamente sul comportamento dell'utente e, quindi, sugli obiettivi di business. Un buon design dell'esperienza utente può aumentare il tasso di conversione, migliorare le metriche di coinvolgimento e, in generale, rendere gli utenti più felici e soddisfatti. E non dimentichiamo l'impatto sulla SEO: piacere ai motori di ricerca è fondamentale, ma la UX permette di soddisfare sia i motori di ricerca che gli utenti, rendendo il tuo sito un successo su più fronti.

Componenti della User Experience

La UX è costituita da vari elementi interconnessi:

  1. UI (Interfaccia Utente): La parte visiva, che include layout, colori e tipografia. Ma la UI è solo la punta dell'iceberg.
  2. Usabilità: Facilità d'uso, intuitività e efficienza dell'interfaccia.
  3. Contenuto: Testi, immagini e media devono essere pertinenti e di alta qualità.
  4. Performance: Tempi di caricamento veloci e funzionalità fluide.

Migliorare la User Experience

Ci sono vari modi per migliorare la UX, come la realizzazione di test A/B, l'uso di heatmaps e il coinvolgimento degli utenti attraverso feedback e recensioni. È fondamentale però partire dalle esigenze degli utenti, costruendo e migliorando i servizi digitali attorno a loro.

Perché la User Experience è  importante: l'esempio di Amazon

Partiamo subito con un esempio del perché perché la UX sia così importante: qualche mese fa mi si è rotto il cellulare, potete immaginare il dramma (lacrime su lacrime). Disperato, decido di fare l'upgrade e passare alla nuova versione appena uscita (già che c'ero, potete biasimarmi?). Che faccio? Sono le 18.00, devo prendere la macchina, andare al mediaworld, traffico, parcheggio, scegliere, fattura, riconfigurare tutto. Penso ad Amazon ma cavolo, come faccio a stare 3 giorni senza cellulare?

Trattengo le ultime lacrime rimaste, prendo le chiavi della macchina e poi l'illuminazione. Amazon Prime Now. Consegna garantita in un'ora, non ci credo neanche se me lo portano in 34 minuti ma ci provo: guardo e il cellulare c'è, consegna in un'ora al costo di 6 euro. Facciamo un test, acquisto et voilà: Carlos arriva veramente dopo soli 34 minuti. Trentaquattro minuti per avere cellulare, caricatore wireless e cover in mano mia. Un servizio imbarazzante, che mette in ombra qualsiasi altro retailer, un'esperienza utente pazzesca. 

Abbiamo già parlato di "fidelizzazione per ottima esperienza d’uso" anticipando, seppur sotto un'altra angolazione, l'importanza dell'esperienza dell'utente con il brand. Quindi se parliamo di "esperienza" in generale è più che corretto includere nel discorso ogni elemento con cui il brand entra in contatto con i suoi utenti. Se parliamo invece dell'esperienza che un utente può provare su un sito o un applicazione brandizzata, parliamo di cos'è la User Experience. In realtà i suoi significati si estendono ampiamente oltre, combinando diversi aspetti di un brand che prima trovavano difficile amalgama: marketing, branding, vendite, visual design, usabilità.

Ma come nasce la UX? Dopo anni di soprusi, di introduzioni in flash con la musichetta (sembra preistoria ma sono passati in realtà pochi anni), finalmente l'utente alza la testa e fa capire, con spostamenti in massa su siti ottimizzati, che è lui che comanda. Eh già perché anche l'utente, che una volta si limitava a visitare un sito, si è evoluto e oggi non gli basta più "navigare" (per chi non lo sapesse "navigare" è una brutta parola, usata nei primi anni '90 che significa "collegarsi ad internet e lasciarsi trasportare dalle proprie ricerche e interessi) ma vuole una vera e propria esperienza che vada ben al di là della pura e semplice navigazione. L'esperienza utente è quindi ciò che sta alla base dell'utilizzo di internet.

Se tutti i siti sono uguali, se tutti gli acquisti sono uguali, se tutte le dinamiche sono uguali... chi riesce veramente ad avere successo? Chi riesce a differenziarsi, mi viene da dire. E come rendere il proprio sito diverso? Regalando un'esperienza che lasci il segno. 

Questa esperienza non è sempre uguale per tutti: se faccio un nome a caso, Amazon ad esempio, non è difficile capire che non solo trovi tutto quello che cerchi, non solo puoi pagare con un click anche dall'app ma hai consigli e scelte di prodotti in linea con quello cui tu sei interessato. Questo ormai da anni. E non sto parlando ancora di Amazon Prime.

Quindi. L'esperienza diventa fondamentale ed è importante trovare la propria strada, dando un occhio non solo alla concorrenza ma anche a quello che succede in altri settori: non è detto che i modelli non si possano esportare.

Quanto i consumatori interagiscono con i brand

La User Experience non è solo un fattore differenziante ma è una vera e propria necessità per ogni azienda: ad oggi gli utenti, dovremmo qui chiamarli "clienti" perché ne caratterizza meglio il potere di acquisto, sono sommersi da messaggi provenienti da ogni dove e l'amore per uno o più brand non è più un motivo per diventare un vero follower.

O forse non lo è mai stato. Sta di fatto che il periodo in cui Facebook diffondeva a tutti ogni messaggio pubblicato oppure in cui tutti scaricavano ogni app mobile, anche quelle prive di senso, è finito: il mondo è cambiato, i media sono cambiati, i consumatori stessi sono cambiati in così pochi anni. Come farsi notare e seguire in un mondo dove abbiamo migliaia di competitor che lottano per gli stessi consumatori negli stessi mercati?

Ovviamente regalando un'esperienza: un percorso unico, emozionante o banalmente utile, semplice da fruire ma che abbia significato per l'utente o che lo aiuti in una situazione di necessità. Per questo motivo le applicazioni mobile con descrizione del brand e store locator non hanno più senso. Per questo motivo è sempre più difficile avere follower su Instagram o Facebook. Per questo motivo è sempre più difficile far affezionare i clienti al proprio brand.

Per anni è stato detto da molti esperti che non solo i consumatori vogliono interagire con i loro brand preferiti ma che addirittura ricercano assiduamente questa relazione per portarla ad un livello superiore di conoscenza.

Tuttavia recentemente una ricerca Forrester (Forrester US Top 50 Brands Social WebTrack, valida nel nostro mercato nella misura in cui al solito ci aspettiamo di essere un specchio della realtà americana di un paio di anni fa) dimostra tutto il contrario: i fan che interagiscono con i post dei brand su facebook si attestano intorno allo 0,7% del totale dei like sulla pagina. Anche se andiamo ad analizzare più in dettaglio le performance delle pagine dei cosiddetti "passion brands" scopriamo che l'engagement rate non varia di molto. Ma allora tutto questo potere di Facebook, tutta la possibilità che abbiamo di avere un contatto diretto con i consumatori si traduce in cosa? Mezzo utente su 100 che interagisce con me?

Il problema principale è che le aziende trattano i social media come se fosse un media qualsiasi. Paul Adams, ex-Global Head Of Brand Design di Facebook a questo proposito commenta: 

Almost every app built for a brand on Facebook has NO usage. Heavy, immersive experiences are NOT how people engage and interact with brands.

Il fatto è che gli utenti o, meglio, le persone hanno interessi diversi e ben lontani dai brand: insomma diciamo che i brand quasi mai sono in priorità nella vita delle persone normali. Basti pensare che tra i primi 10 termini cercati nel 2014 su Google, non c'è neanche una marca (Robin Williams è la query più ricercata, seguita da World Cup ed Ebola, ndr.). C'è anche chi giustamente afferma che facciamo fatica a sufficienza ad avere buone relazioni con veri esseri umani e si chiede il motivo di dover interagire anche con le nostre marche cosiddette "preferite" (Bruce McColl, Chief Marketing Officer di Mars). Se aggiungiamo che il 72% dei consumatori americani che beve Coca Cola compra anche Pepsi, capiamo che la relazione utente/brand è di uno a molti.

Quindi, tirando un po' le somme di quanto detto, impariamo 3 importanti lezioni:

  1. Un engagement elevato è occupazione di pochi eletti, non è un'attività mass market
  2. Un'esperienza utente totalizzante con un brand ha poco a che fare con quello che gli utenti si aspettano dal brand stesso
  3. La presunzione di profonda interazione con il proprio brand è spesso l'anticamera dell'insuccesso sui Social Media

Come applicare la User experience al tuo sito 

Il sito ha un ruolo centrale nella strategia di lead generation di un'azienda. Lo fa attraverso il traffico che si è indirizzato e gli strumenti di conversione digitale (e ce ne sono molti): è molto importante determinare il modo in cui "viene preso in prestito" dalle persone per le loro valutazioni, per avvicinarsi al loro obiettivo. Non c'è cosa peggiore di mettere a disposizione un sito completamente disorganizzato, privo di elementi di ricerca e povero nelle informazioni.

Ecco quindi che nel design di un nuovo sito web entra in gioco la user experience, che riassumo come la relazione - e quindi la percezione - che un utente ottiene nel momento in cui interagisce con un sistema. Poiché parliamo di siti web, un sistema digitale.

La cosa più utile che ho imparato studiando le diverse combinazioni di strategia digitale e il crescente ecosistema di strumenti disponibili è di pensare e ideare ogni azione di comunicazione e marketing in funzione della persona a cui è rivolta.

Moltissime aziende comunicano sempre parlando di sé stesse: i nostri prodotti, i nostri servizi, i nostri clienti, noi leader di mercato, ecc.

Un errore piuttosto grave; ci si dovrebbe forse focalizzare di più su quello che gli utenti stanno cercando e su come possono trovarlo all'interno dei nostri spazi digitali. Che sensazioni provano quando navigano nel nostro sito? Quanto è facile trovare quello che stanno cercando? Hanno una o più domande in testa a cui tu dovresti saper rispondere? L'esperienza di navigazione è confortevole o frustrante?

Trovare una risposta a queste domande - ti consiglio di farlo usando il design thinking e strumenti di intervista e ricerca - può essere un ottimo modo per rimettere in ordine il proprio sito o disegnarne uno nuovo.

Secondo il modello inbound, disegnare una buona user experience facilita il processo di navigazione e permette agli utenti che hanno raggiunto il sito da diversi canali di trasformarsi in lead, opportunità, clienti.

Un'altra cosa che ho imparato è che user experience non vuol dire solo interfaccia grafica: è il risultato dell'intera esperienza di navigazione, dal primo all'ultimo istante. Design, copywriting, strumenti di interazione, video, architettura ecc. Tutto contribuisce alla UX.

Un sito web capace di assicurare una User Experience positiva deve avere delle caratteristiche precise. Per spiegarmi meglio, essere:

#1. Usabile

Le persone "inciampano" nel tuo sito per una loro ragione di ricerca: trovare informazioni, chiedere supporto, leggere un articolo di blog, come questo (speriamo vada bene e di aver detto tutto).

Il tempo a loro disposizione è sempre meno. Se il sito non è funzionale a questa ricerca, se non è usabile, è inutile. Eh, si!

Fermati un attimo e chiediti: il mio sito è navigabile? In modo facile? Le persone trovano quello che cercano, senza ostacoli? Riescono a navigare le pagine nel modo corretto, per loro?

Questa verifica può essere condotta tramite survey, interviste qualitative e dirette, ma anche attraverso software di heat mapping che danno una chiara idea della navigazione del sito in ogni sua area (click, scroll, movimento del mouse, funnel ecc.).

#2. Accessibile

Il tuo sito web è fruibile? E’ uno strumento pensato per interagire con tutti e da qualsiasi dispositivo? Aiutare le persone a trovare le informazioni che stanno cercando vuol dire saper prevedere percorsi di navigazione e creare un menù che risponda alle attese, in tempi pressoché immediati.

Una soluzione per mappare questo aspetto e che usiamo in agenzia quando dobbiamo progettare un nuovo sito è il card sorting: preparare delle schede che riportano, una per una, le pagine del sito che sarà costruito e presentarle ad alcune persone selezionate per il test.

Queste persone hanno la possibilità di raggrupparle per caratteristiche similarità e di utilizzo. Il nostro lavoro è quello di registrare le scelte, trovare linee comuni che mettano in evidenza degli insight e capire se il menù di navigazione corrisponde alle loro aspettative. Se così non è, lo adattiamo.

Oppure - per i siti già esistenti - attiviamo dei test di usabilità per vedere con i nostri occhi, di fianco agli utenti i loro comportamenti digitali, inciampi di navigazione e aspettative.

#3. Attraente

L'ho detto all'inizio, usabilità non è solo design. Però il design conta molto. Un sito web bello da vedere contribuisce alla percezione dell'azienda e partecipa in buona parte all'identità complessiva della marca.

Non è detto che un sito disegnato bene debba essere necessariamente complesso. La semplicità può contribuire all'appeal generale e l'uso attento degli spazi bianchi dare valore alla centralità del messaggio. È possibile lavorare sulla tipologia e dimensione dei caratteri, sull'aggiunta di elementi grafici come guida o semplice decoro. Quello che può essere utile è usare CMS e strumenti non troppo complessi per intervenire regolarmente sullo stile grafico e mantenere sempre "fresco" il proprio look.

#4. Chiaro

Cosa offre il tuo sito web? Le persone possono capirlo tramite gli elementi a disposizione, dal primo impatto? In una sessione di navigazione è fondamentale che l'utente sappia sempre dove si trova e dove può andare, che abbia una guida di percorso che lo istruisca verso la strada più giusta per lui. Struttura ed esposizione, menù di navigazione, la grafica, i contenuti, ma anche bottoni, form e landing page devono avere una coerenza visiva e di scopo.

#5. Trovabile

Ok, piccola e veloce deriva su un tema collaterale, necessario per non invalidare tutto il lavoro fatto. Un sito web deve poter essere trovato nei motori di ricerca più in alto possibile nella lista dei siti che rispondono alla chiave di ricerca. Serve parlare di SEO, e non di certo solo quella tecnica (struttura degli url, css responsive, architettura e distribuzione delle risorse ecc).

#6. Coerente (ed etico)

Per parlare di coerenza comunicativa (e quindi di credibilità, anzi esagero: fiducia) i colleghi designer - mi aggiungo a loro in coda - suggeriscono di definire un manuale di stile visivo. Una brand guide, che raccolga ogni scelta relativa a logo, font, colore, layout, messaggio core, linguaggio, do's e don'ts. Definire un design inclusivo secondo scelte influenzate dagli standard di accessibilità e di leggibilità previsti anche per chi può avere disabilità visive o difficoltà di navigazione.

#7. Personalizzato

Qui entriamo in un'area tematica tra quelle che preferisco. Marketing contestuale e strumenti smart per personalizzare aree di testo e design in base alla tipologia di utente (subscriber, lead, opportunità commerciale, cliente) alla provenienza geografica e alla lingua, all'appartenenza a liste - quando già conosciuto - alla tipologia di dispositivo in uso. Quando iniziamo a pensare ai contenuti in base alla persona, alziamo davvero il livello di qualità complessivo.

#. Parlante

Chi ha detto che un sito deve essere qualcosa di statico esattamente come un libro? Un sito web moderno deve favorire l’incontro e il dialogo tra cliente e persone dell'azienda, invitare a partecipare a community di confronto e dialogo invogliare all'interazione. Deve mettersi in ascolto. Mai sentito parlare di conversational marketing?

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Caratteristiche della User experience: qualche esempio

Dopo aver approfondito la sua definizione e la sua importanza, andiamo un po' più in dettaglio e cerchiamo di capire quali sono le sue caratteristiche 

  1. Responsive Design, che non poteva mancare.
  2. Material Design, regole e strumenti in arrivo direttamente da Google per la realizzazione di siti responsive. Se vogliamo semplificare, possiamo dire che è una evoluzione del flat design. Se volgiamo rendere tutto più complicato, invece, andiamo a leggere direttamente alla fonte.
  3. Micro-interazioni, ovvero quelle semplici funzioni che se disegnate bene si vedono solo nel momento del bisogno ed aiutano a compiere azioni complesse in un solo click
  4. Focus sui font, con l'avvento di pacchetti come Google Fonts Typekit si sono aperte nuove possibilità (free o a basso costo) che vadano al di là degli standard font
  5. Card Style Layout, ovvero l'uso dei box con immagini o icone e del testo per avere un sito più semplice, versatile e pulito. Non hai idea di cosa sia? Pinterest è un ottimo esempio.
  6. Scroll in parallasse, che è molto di modo specie nei siti one-page. In particolare si è capito che lo "scroll" è un'azione meno dispendiosa del "click" e consente una navigazione senza soluzione di continuità (fino a 2 anni fa si diceva esattamente il contrario)
  7. Attenzione al contenuto, vale a dire dare assoluta priorità a quello che si vuole comunicare, nel rispetto del device e dell'utente. Dimenticarsi dei font 12pt o dei menu dinamici ma concentrarsi sulla leggibilità e fruizione del contenuto. Il nuovo tema wordpress Twenty Fifteen è un ottimo esempio.
  8. Icone non il testo, è il nostro nuovo motto. Un'immagine vale più di mille parole e bla bla bla. Tutto vero. Non esiste una codifica universale per le icone ma alcune (vedi le tre linee orizzontali per il menu) stanno entrando nel nostro linguaggio.
  9. App native, cioè la possibilità di veicolare ad utenti fidelizzati contenuti altri rispetto a quelli contenuti nel sito responsive. Ricerche dicono inoltre che l'utente mobile è più comodo ad usare un'app, che in fondo è nata apposta. Poi ci porremo il problema di come farla scaricare e a questo proposito (divago dal tema) vi invito a vedere cosa ha pensato Taco Bell (che pr questa operazione ha vinto solo un bronzo a Cannes).
  10. UX personalizzata, beh dopo tutti gli articoli che abbiamo fatto questa proprio non poteva mancare. Non mi stanco di dirlo, il futuro della fruizione digitale è nella personalizzazione del contenuto erogato.

Un esempio di user experience di successo: Google e la Search Experience optimization

Per capire l'importanza della User Experience guardiamo a cosa fa il nostro amico Google. Da qualche tempo alla "grande G" si sono accorti che il mondo degli utenti sta cambiando e che, soprattutto con l'avvento del mobile, il modo in cui fanno le ricerche sul loro motore di ricerca è cambiato. Parecchio. Dalla modalità anni '90 di ricerca tramite keyword secca, oggi si è passati ad una ricerca per domande vere e proprie, quety a coda lunga. Per capirci meglio, al posto di cercare "pizza milano" si tende a cercare "dove posso mangiare una pizza a milano?", prendendo Google come un vero e proprio amico di famiglia a cui chiedere un consiglio. Senza parlare della ricerca vocale che si può effettuare tramite dispositivi mobili.

Google ha quindi sviluppato una vera e propria intelligenza artificiale che interpreta le tue domande e restituisce risposte più plausibili possibili, integrando magari 2 o 3 schede di quache ristorante, con gli orari, le foto e magari la possibilità di chiamare o prenotare. Questa è una vera esperienza utente, un servizio aggiunto e di valore che potremmo definire come Search Experience Optimization.

Il concetto che sta alla base è semplice: dalle stringhe agli oggetti (che in inglese, from strings to things, suona decisamente meglio). In definitiva i motori di ricerca stanno cambiando (sono già cambiati in realtà) e stanno diventando qualcosa di diverso rispetto a come erano qualche anno fa. Cosa li rende così diversi? La risposta è proprio in cos'è la ricerca semantica.

Prima di continuare cerchiamo di approfondire il concetto, in modo che sia chiaro. Da qualche tempo Google non si limita più a cercare le keyword e restituire risultati secondo le query nude e crude ma cerca di interpretare in qualche modo l'intenzione dell'utente. Detta così sembra che si stia sviluppando una vera intelligenza artificiale dietro al motore di ricerca ma in realtà tra poco vedremo che non è proprio così: la ricerca semantica è in realtà un complesso sistema algoritmico che associa parole tra loro secondo il loro significato e contesto di appartenenza.

Cioè, il concetto che deve passare è che Google non è che capisce le intenzioni dell'utente e neanche ci prova in realtà: il motore di ricerca non "comprende" nel senso stretto quello che l'utente chiede ma "associa" la sua richiesta ad una serie di possibili risposte derivate da semplici (semplici si fa per dire) associazioni dei significati.

Come funziona la semantic search? L'idea di fondo è una rivoluzione del SEO: dalla Search Engine Optimization alla Search Experience Optimization, cioè la trasformazione della ricerca in una vera e propria esperienza di ricerca in cui stressando i significati delle parole per associazioni viene restituito un risultato che potremmo definire mediamente "intelligente". In realtà come anticipato non è proprio il risultato della ricerca ad essere intelligente quanto il metodo con cui questo viene generato.

Nella ricerca per parole chiave classica (antica, oserei dire) il processo era semplice: se cerco "lezioni SEO gratis" a domanda segue una risposta. Ora facciamo finta di avere uno smartphone in mano e fare una ricerca vocale con Google: con molta probabilità le parole che pronuncerò non saranno identiche a quelle che avrei digitato al PC ma, per tenere fede all'esempio, io chiederei "trova un corso SEO gratuito" o una cosa del genere. La ricerca semantica nasce proprio per azzerare il gap tra l'interrogazione in forma scritta da quella in forma verbale che, seppur espresse in maniera differente, rimandano allo stesso bisogno. Il content marketing assume quindi una valenza sempre maggiore ed è diventata un'attività di marketing dalla quale non si può più prescindere.

La ricerca semantica quindi frappone tra la domanda e la risposta una fase di comprensione che incasella ogni parola ricercata nel suo significato più ampio. Ad esempio dovrebbe capire innanzitutto la parola "corso" non è la prima persona presente del verbo correre e che le parole "lezione" e "corso" fanno capo allo stesso campo semantico di "formazione". A tendere quindi non dovrebbe fare differenza tra le diverse query che abbiano lo stesso obiettivo perché ogni query verrà astratta al suo più alto livello di significato e contestuale, azzerando di fatto le piccole differenze tra i vari modi di chiedere una stessa cosa.

User experience è solo digitale?

Ovviamente no. Anche se il mondo digitale le ha dato un nuovo significato e l'ha portata all'attenzione di tutto il mondo, aiutando la diffusione del concetto, la user experience è applicabile anche a esperienza non digitali. Anzi, visto cheil digitale è cosa degli ultimi 30 o 40 anni, direi che la user experience nasce con oggetti fisici. Punti vendita, prodotti, oggetti: tutto ciò che prevede un'interazione e gioca con l'utilizzatore finale. 

Se il tuo scopo è offrire all’utente una user experience sempre migliore e personalizzata e, di conseguenza, ottenere risultati soddisfacenti in termini di crescita e fatturato, questo tipo di strategia può fare al caso tuo. Scoprine di più qui di seguito!

Drive to store: cos’è e come funziona?

Una strategia drive to store si presenta nel marketing come l’anello di congiunzione tra l’online e l’offline, ciò che può trasformare una visita su Internet in una presenza ad un negozio fisico. Lo scopo è quello di creare dei punti di collegamento tra il sito web e il punto vendita, in modo da invogliare le persone a procedere nella fase d’acquisto.

In altre parole, le aziende, attraverso tutta una serie di azioni di marketing, cercano di entrare in contatto con l’utente e di conoscerlo meglio, migliorandone così l’esperienza di navigazione e favorendo l’in-store traffic.

Le caratteristiche di una strategia drive to store efficace

In una strategia drive to store, quattro sono gli aspetti decisivi:

  1. conoscere il proprio pubblico e targettizzarlo
  2. dare rilevanza ai contenuti e a tutti gli aspetti formali dei media tramite cui ci si relaziona con il consumatore
  3. offrire all’utente una user experience adeguata alle sue necessità
  4. misurare le visite al negozio fisico generate dalle campagne digitali.

Questi quattro elementi ti permettono di capire se la tua strategia è pienamente efficace e se puoi continuare in questa direzione oppure no. L’importante è misurare costantemente le tue performance in modo da correggere gli errori e in tal caso, stabilire nuove priorità.

Come realizzare una strategia drive to store efficace

Il primo passo per realizzare una strategia drive to store efficace è focalizzare l’attenzione sul proprio target di riferimento, conoscerlo e capire di cosa ha realmente bisogno per attirarlo verso di te e il tuo negozio. Offrigli una user experience il più appropriata possibile, con tutti gli strumenti di cui necessita per soddisfare e dare una risposta concreta alle sue esigenze.

Il secondo? Creare contenuti pertinenti sul tuo sito web e sui diversi canali di comunicazione a tua disposizione, in modo da garantire massima personalizzazione agli utenti.

E ancora, se il tuo compito è accompagnarli nella loro esperienza d’acquisto step by step, questo comporta anche il fatto di condurli fino al punto vendita. Ma qual è il modo più efficace per riuscirci? Utilizzare la localizzazione.

Se infatti sfrutti la posizione degli utenti e metti in evidenza l’indirizzo del tuo negozio più vicino, da una parte, consenti a loro di trovarti più facilmente direttamente tramite il loro segnale GPS e, dall’altra, offri a te la possibilità di targettizzare al meglio la tua zona di competenza.

Ricorda che l’unica cosa che interessa ai potenziali clienti è la distanza da loro al tuo punto vendita: quindi, ottimizzare i tempi favorendo le loro esigenze e perplessità ti può senza dubbio aiutare a convertirli.

L’ultimo step prevede la misurazione dei dati e la valutazione dell’andamento generale.

Tuttavia, arrivati a questo punto, va fatta una precisazione: non basta guardare alle visite totali per misurare il reale impatto delle campagne online sulle realtà fisiche. Il numero di impression e di interazioni non sempre è sinonimo di conversioni in negozio.

Per studiare l’engagement e il traffico generato, bisogna servirsi di alcuni parametri e della tecnologia a nostra disposizione (es. la geolocalizzazione dei clienti). I parametri utili per misurare l’efficacia di una strategia drive to store sono sette:

  1. il numero di visite naturali e di quelle incrementali al negozio (rispettivamente chi lo visita spontaneamente e chi lo visita come frutto di una campagna di digital marketing)
  2. il CPV (costo per visita) e il CPIV (costo per visita incrementale)
  3. la frequenza di visite al negozio
  4. la permanenza nel negozio
  5. la distanza percorsa per raggiungere il negozio
  6. gli orari e i giorni con maggiore affluenza
  7. il numero di impression online prima di effettuare una visita al negozio.

Infine, per evitare “visite false” e per differenziarle da quelle reali, ti consigliamo di prendere in considerazione diversi fattori come delineare la zona di competenza del tuo negozio, stabilire un lasso di tempo per la visita (in modo da non confondere le visite reali con quelle dei passanti), tener conto degli orari del tuo negozio ed esaminare la frequenza e la durata delle visite.

Luca Bizzarri